RICORDO INDIANO - AGOSTO 1987
9° parte - Varanasi
"Varansi Varansi Varansi!" Tutti hanno in bocca il nome della città pronunciato in questo modo abbreviato. Finalmente si scende. Dal 1947 nessuno qui la chiama più Benares come l'avevano ribattezzata gli inglesi. Fondata circa 3500 anni fa, il suo primo nome fu Kashi*, la città della luce.
Scendiamo dal treno, incubo finito. Respiro, l'aria più fresca. Cerco subito un risciò a motore, una specie di Ape, e prego di portarci velocemente ad una bottega, un baracchino, un bar, insomma qualsiasi posto dove vendano acqua minerale o altre bibite. Ci carica e corre veloce. Mentre arriviamo al primo albergo possibilmente non troppo economico che conosce, visto che siamo distrutti, cominciamo a bere. Quando scendiamo ci siamo già scolati un litro d'acqua, una Campa Cola e un succo di mango a testa.
Sono persa nella visione. Tutto è tranquillo ed emana pace. La luce dorata del tramonto a poco a poco sfuma in un azzurro intenso, i canti, l'odore intenso dell'incenso, la gente intenta a bagnarsi, a lavarsi, a pregare sui i ghat, i grandi gradini che portano al fiume. Tutto è perfetto. Dietro di noi udiamo cantare sommessamente. Un gruppo di persone segue un padre che tiene in braccio un piccolo corpo avvolto in un lenzuolo bianco. Nessuno piange. Il corteo si dirige verso una pira accesa. Distolgo lo sguardo per rispetto a questo rito privato così composto, così rassegnato, così dignitoso.
Decidiamo di prendere una barca per un giro sul Gange con alcuni pellegrini indiani. Il fiume è verde e tanti fiori galleggiano sulla corrente. L'atmosfera è particolarissima difficilmente descrivibile a parole. E' un misto di devozione, sacralità, magia. La luce del tramonto colora tutto di malinconia e i canti struggenti si perdono nell'odore dolciastro dell'incenso.
Il mattino dopo cerchiamo un risciò che ci porti a visitare la città. Qui i risciò sono ancora quasi tutti a pedali portati da magri indiani scalzi. Imbarazzo. Ci avvicina un piccolo uomo, un paria. Dice di chiamarsi Pandit, si presenta in inglese e ci mostra orgoglioso il suo book, un quaderno in cui tanti turisti hanno scritto complimenti, ringraziamenti e dolci parole di saluto e augurio. Ci sono anche alcune foto con loro, la sua candida intraprendenza ci colpisce. Lui arriva ogni mattina alle dieci per 4-5 giorni per portarci in giro dove vogliamo. Meglio che cambiare ogni giorno o più volte al giorno.
Pandit si rivela una persona meravigliosa. Con un inglese elementare riusciamo a parlare di un po' di tutto: la sua vita di paria, un pasto al giorno alla sera, una moglie e due figli, tanti turisti da tutto il mondo, la vita a Varanasi, la marijhuana che qua cresce ovunque lungo i muri. Le mucche la mangiano spesso e rimangono imbambolate in mezzo alla strada bloccando il traffico. I ricordi di Varanasi sono sfocati, costante stato di benessere estatico. Mi piace tutto: il fiume, la luce, gli odori, i negozi, il cibo, i viali, Pandit che ci trasporta allegramente.
Facciamo partecipe Pandit del terribile imbarazzo che ci prende nel farci trasportare da lui che fatica sotto il sole, come odiosi colonizzatori. Ci spiega che non dobbiamo sentirci così perché è il suo lavoro, vive di questo, e se non ci fossero i turisti come noi non guadagnerebbe nulla. Saliamo e cerchiamo di goderci il viaggio. Pandit ci aspetta è sotto l'hotel alle dieci meno un quarto. Ci consiglia sempre sui prezzi e ci porta dove vogliamo. Andiamo a prendere un lassi e lo invitiamo ad entrare nel locale. Ci dice che ci aspetta fuori. Insistiamo e lui ci dice che non può. "Perché non puoi?" "Perché sono un paria, non posso entrare nei locali pubblici", "Ma ci siamo noi", insiste Massimo, lui indietreggia, ringrazia ma ribadisce che è sconveniente e che ci aspetta fuori.
Entriamo nel locale, ordiniamo tre lassi per consumarli fuori insieme a lui. Gli dico che è vergognosamente anacronistico e che personalmente non accettiamo questo sistema che fu comunque abolito ufficialmente nel 1950. Ci dà ragione ma dice che non si può far nulla e che tanto vale non prendersela e cercare di vivere bene lo stesso. Ancora saggezza di umili persone. Supremo insegnamento. A ribellarsi dovrebbe essere l'intera società ma evidentemente la coscienza non è ancora così pronta e sicuramente questo sistema fa ancora comodo a troppi.
Passiamo in albergo a lavarci e cambiarci e diamo appuntamento a Pandit per venirci a prendere più tardi. Dopo circa un'oretta l'effetto del lassi "drogato" comincia a farsi sentire. Mi prende un'irrefrenabile voglia di ridere e scherzare e anche Massimo è dello stesso umore. Finalmente, dopo circa quindici giorni riusciamo a stare bene insieme, faccio fatica a vestirmi a causa dell'assurda ridarola e accenniamo persino a qualche affettuosità. Viva Shiva e la sua pianta sacra!
Pandit arriva con il suo risciò, puntuale, cambiato e un po' più elegante. Noi giustifichiamo la nostra "allegria" incolpando il lassi e ci facciamo trasportare nella sera da questo omino gentile, la mente completamente libera. La vita mi pare una meravigliosa avventura.
Ho la sensazione che dietro la tendina, al posto dello scaffale, ci sia una stanza. La sensazione è così reale che mi ritrovo a scostare la tenda ogni dieci minuti. Il cibo è di una bontà indescrivibile e non c'è paragone rispetto a ciò che mangiamo nei ristorantini. Come ormai abbiamo imparato, si usa solo la mano destra, si ride e si chiacchiera ancora fino a tardi perdendo la concezione del tempo. E' buio già da un po', e Pandit ci deve riportare all'hotel, ma prima Massimo vuole provare a guidare il risciò. Io e Pandit ci accomodiamo ridendo. La schiena di Massimo sembra enorme rispetto a quella che avevo davanti da giorni. Cerca di pedalare ma non sembra così semplice e dopo qualche tentativo fallito rinuncia tra le nostre risate scomposte.
Ci diciamo addio in strada davanti all'albergo e penso che pochi addii sono stati così struggenti nella mia vita. Il cuore si spezza. Forse è stato più triste solo quello che avevo dato a Dave, all'aeroporto di Chicago, nell'agosto di sei anni prima, dopo ben quattordici mesi di convivenza passati negli Stati Uniti.
* Nel Ṛgveda, uno dei quattro sacri Veda, la città viene chiamata Kāśī (Kashi) dalla radice verbale sanscrita kaś- che significa "risplendere", perciò viene anche chiamata la "Città della luce". I testi religiosi indù fanno riferimento a Varanasi utilizzando numerosi epiteti, come Avimukta (=mai abbandonata" da Shiva), Ānandavana (=la foresta della beatitudine), e Mahasmashana (=il grande luogo delle cremazioni).
** Il Gange è considerato la forma materiale della dea Ganga.
*** Bhang è il nome Hindu per Cannabis. Il bhang lassi è a base di cannabis, miele, spezie, yogurt e frutta
**** Le caste sono quattro: i Brahmani sacerdoti e intellettuali, i Kshatriya guerrieri e nobili, i Vaishya mercanti e artigiani, i Shudra servitori. Infine vengono i Dalit, o intoccabili che si trovano al di fuori del sistema delle caste e svolgono mestieri ritenuti impuri. L'origine del sistema delle caste è ancora un enigma e vi sono tre teorie antropologiche che cercano di spiegarla.
CONTINUA CON LA 10° PARTE
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