sabato 29 agosto 2020

                                                         RICORDO INDIANO - AGOSTO 1987 

     9° parte - Varanasi




"Varansi Varansi Varansi!" Tutti hanno in bocca il nome della città pronunciato in questo modo abbreviato. Finalmente si scende. Dal 1947 nessuno qui la chiama più Benares come l'avevano ribattezzata gli inglesi. Fondata circa 3500 anni fa, il suo primo nome fu Kashi*, la città della luce.

Scendiamo dal treno, incubo finito. Respiro, l'aria più fresca. Cerco subito un risciò a motore, una specie di Ape, e prego di portarci velocemente ad una bottega, un baracchino, un bar, insomma qualsiasi posto dove vendano acqua minerale o altre bibite. Ci carica e corre veloce. Mentre arriviamo al primo albergo possibilmente non troppo economico che conosce, visto che siamo distrutti, cominciamo a bere. Quando scendiamo ci siamo già scolati un litro d'acqua, una Campa Cola e un succo di mango a testa. 

L'albergo è decisamente più confortevole del solito; per l'equivalente di 10.000 lire, invece delle solite 2000, abbiamo l'aria condizionata (che non accendiamo comunque), un letto comodo e pulito, cibo anche "continentale", come lo chiamano gli inglesi.
Mi faccio la doccia, mi guardo allo specchio e noto che la mia pancia è molto gonfia per tutti i liquidi ingurgitati. In compenso tutto il resto è un po' rinsecchito; mi stendo sul letto e mi godo la frescura delle inusuali lenzuola profumate.
L'acqua e il breve riposo mi fanno riprendere come una piantina dopo la pioggia. Sento la voglia irrefrenabile di correre al Gange** il sacro fiume. Arriviamo al tramonto e lo spettacolo è a dir poco abbagliante.

Sono persa nella visione. Tutto è tranquillo ed emana pace. La luce dorata del tramonto a poco a poco sfuma in un azzurro intenso, i canti, l'odore intenso dell'incenso, la gente intenta a bagnarsi, a lavarsi, a pregare sui i ghat, grandi gradini che portano al fiume. Tutto è perfetto. Dietro di noi udiamo cantare sommessamente. Un gruppo di persone segue un padre che tiene in braccio un piccolo corpo avvolto in un lenzuolo bianco. Nessuno piange. Il corteo si dirige verso una pira accesa. Distolgo lo sguardo per rispetto a questo rito privato così composto, così rassegnato, così dignitoso.

Decidiamo di prendere una barca per un giro sul Gange con alcuni pellegrini indiani. Il fiume è verde e tanti fiori galleggiano sulla corrente. L'atmosfera è particolarissima difficilmente descrivibile a parole. E' un misto di devozione, sacralità, magia. La luce del tramonto colora tutto di malinconia e i canti struggenti si perdono nell'odore dolciastro dell'incenso.      





Il mattino dopo cerchiamo un risciò che ci porti a visitare la città. Qui i risciò sono ancora quasi tutti a pedali portati da magri indiani scalzi. Imbarazzo. Ci avvicina un piccolo uomo, un paria. Dice di chiamarsi Pandit, si presenta in inglese e ci mostra orgoglioso il suo book, un quaderno in cui tanti turisti hanno scritto complimenti, ringraziamenti e dolci parole di saluto e augurio. Ci sono anche alcune foto con loro, la sua candida intraprendenza ci colpisce. Lui arriva ogni mattina alle dieci per 4-5 giorni per portarci in giro dove vogliamo. Meglio che cambiare ogni giorno o più volte al giorno.

Pandit si rivela una persona meravigliosa. Con un inglese elementare riusciamo a parlare di un po' di tutto: la sua vita di paria, un pasto al giorno alla sera, una moglie e due figli, tanti turisti da tutto il mondo, la vita a Varanasi, la marijhuana che qua cresce ovunque lungo i muri. Le mucche la mangiano spesso e rimangono imbambolate in mezzo alla strada bloccando il traffico. I ricordi di Varanasi sono sfocati, costante stato di benessere estatico. Mi piace tutto: il fiume, la luce, gli odori, i negozi, il cibo, i viali, Pandit che ci trasporta allegramente. 

Facciamo partecipe Pandit del terribile imbarazzo che ci prende nel farci trasportare da lui che fatica sotto il sole, come odiosi colonizzatori. Ci spiega che non dobbiamo sentirci così perché è il suo lavoro, vive di questo, e se non ci fossero i turisti come noi non guadagnerebbe nulla. Saliamo e cerchiamo di goderci il viaggio. Pandit ci aspetta è sotto l'hotel alle dieci meno un quarto. Ci consiglia sempre sui prezzi e ci porta dove vogliamo. Andiamo a prendere un lassi e lo invitiamo ad entrare nel locale. Ci dice che ci aspetta fuori. Insistiamo e lui ci dice che non può. "Perché non puoi?" "Perché sono un paria, non posso entrare nei locali pubblici", "Ma ci siamo noi", insiste Massimo, lui indietreggia, ringrazia ma ribadisce che è sconveniente e che ci aspetta fuori. 

Entriamo nel locale, ordiniamo tre lassi per consumarli fuori insieme a lui. Gli dico che è vergognosamente anacronistico e che personalmente non accettiamo questo sistema che fu comunque abolito ufficialmente nel 1950. Ci dà ragione ma dice che non si può far nulla e che tanto vale non prendersela e cercare di vivere bene lo stesso. Ancora saggezza di umili persone. Supremo insegnamento. A ribellarsi dovrebbe essere l'intera società ma evidentemente la coscienza non è ancora così pronta e sicuramente questo sistema fa ancora comodo a troppi.



Arriva il nostro ultimo giorno anche a Varanasi. Facciamo un giro a piedi per curiosare nelle botteghe. Mi attira una di profumi e oli essenziali. In negozio c'è una donna che parla inglese molto bene. Parliamo di profumi e poi finiamo per parlare di Varanasi e dell'India in generale. Un'amabile conversazione, sarà l'unica intrattenuta con una donna in quaranta giorni di viaggio.
Ci facciamo riportare sul Gange e rimaniamo a chiacchierare con alcuni ragazzi che fumano grossi chillum. Essendo una pianta sacra al dio Shiva, viene usata da millenni per i riti e questi giovani semplicemente approfittano del clima permissivo e dei tanti sadu che fumano per motivi religiosi. Ci sembrano allegramente sballati e anche Massimo si unisce alla compagnia per una tirata o due. Ci confermano che a Varanasi la marijuana è legale e Pandit ci offre di portarci a bere un buon bhang lassi***.
Siamo ormai in grande confidenza e mentre beviamo, non senza un po' di trepidazione, la dolce bevanda,  Pandit ci invita a cena a casa sua. Incredibile.

Passiamo in albergo a lavarci e cambiarci e diamo appuntamento a Pandit per venirci a prendere più tardi. Dopo circa un'oretta l'effetto del lassi "drogato" comincia a farsi sentire. Mi prende un'irrefrenabile voglia di ridere e scherzare e anche Massimo è dello stesso umore. Finalmente, dopo circa quindici giorni riusciamo a stare bene insieme, faccio fatica a vestirmi a causa dell'assurda ridarola e accenniamo persino a qualche affettuosità. Viva Shiva e la sua pianta sacra!

Pandit arriva con il suo risciò, puntuale, cambiato e un po' più elegante. Noi giustifichiamo la nostra "allegria" incolpando il lassi e ci facciamo trasportare nella sera da questo omino gentile, la mente completamente libera. La vita mi pare una meravigliosa avventura.


La casa di Pandit consiste in una stanza al piano terra e un'altra al piano di sopra ma senza collegamento interno. Quasi tutto lo spazio è occupato dal letto sul quale ci fa accomodare dicendoci che arriverà sua moglie che sta finendo di preparare. La porta è aperta per far entrare aria visto che non ci sono finestre e alcune teste si affacciano per curiosare. Sono i vicini, spiega Pandit, incuriositi dagli strani ospiti. Sua moglie arriva con due grandi vassoi di pietanze profumate e fumanti. Ci alziamo per salutare all'indiana ma lei, dopo aver posato i piatti, ci saluta inchinandosi e sorridendo, ed esce in retromarcia. Diciamo a Pandit di chiamarla e dirle di rimanere, ci farebbe molto piacere averla qui con noi; ci spiega che per lui non sarebbe un problema ma che lei non intende stimolare pettegolezzi. L'allegria si smorza un po' e cominciamo a mangiare in silenzio mentre notiamo le teste di alcuni vicini che si sporgono all'interno dalla porta aperta sul cortile.

Pandit comincia a parlare dicendo che i suoi bambini stanno mangiando sopra con la madre e, scostando una tendina, ci mostra con orgoglio i loro quaderni di scuola su uno scaffale. Dice che non vuole altri figli perché desidera che studino, non vuole che facciano la sua stessa misera vita. Ovviamente gli diamo ragione e mentre parla sento una strana vicinanza con questo uomo. Mi accorgo di sapere in anticipo ogni singola parola che sta per pronunciare ma la cosa non mi sorprende, anzi, mi pare una logica conseguenza del legame che si sta creando tra noi.
Ci confessa di avere, per se stesso, un unico grande desiderio: vedere Venezia. Col nodo in gola recito dentro di me una preghiera per lui. Incredibile Pandit dall'età indefinibile... chissà dove sei ora? 

Ho la sensazione che dietro la tendina, al posto dello scaffale, ci sia una stanza. La sensazione è così reale che mi ritrovo a scostare la tenda ogni dieci minuti. Il cibo è di una bontà indescrivibile e non c'è paragone rispetto a ciò che mangiamo nei ristorantini. Come ormai abbiamo imparato, si usa solo la mano destra, si ride e si chiacchiera ancora fino a tardi perdendo la concezione del tempo. E' buio già da un po', e Pandit ci deve riportare all'hotel, ma prima Massimo vuole provare a guidare il risciò. Io e Pandit ci accomodiamo ridendo. La schiena di Massimo sembra enorme rispetto a quella che avevo davanti da giorni. Cerca di pedalare ma non sembra così semplice e dopo qualche tentativo fallito rinuncia tra le nostre risate scomposte.

Ci diciamo addio in strada davanti all'albergo e penso che pochi addii sono stati così struggenti nella mia vita. Il cuore si spezza. Forse è stato più triste solo quello che avevo dato a Dave, all'aeroporto di Chicago, nell'agosto di sei anni prima, dopo ben quattordici mesi di convivenza passati negli Stati Uniti.




* Nel Ṛgveda, uno dei quattro sacri Veda, la città viene chiamata Kāśī (Kashi) dalla radice verbale sanscrita kaś- che significa "risplendere", perciò viene anche chiamata la "Città della luce". I testi religiosi indù fanno riferimento a Varanasi utilizzando numerosi epiteti, come Avimukta (=mai abbandonata" da Shiva), Ānandavana (=la foresta della beatitudine), e Mahasmashana (=il grande luogo delle cremazioni).

** Il Gange è considerato la forma materiale della dea Ganga.

*** Bhang è il nome Hindu per Cannabis. Il bhang lassi è a base di cannabis, miele, spezie, yogurt e frutta  

**** Le caste sono quattro: i Brahmani sacerdoti e intellettuali, i Kshatriya guerrieri e nobili, i Vaishya mercanti e artigiani, i Shudra servitori. Infine vengono i Dalit, o intoccabili che si trovano al di fuori del sistema delle caste e svolgono mestieri ritenuti impuri. L'origine del sistema delle caste è ancora un enigma e vi sono tre teorie antropologiche che cercano di spiegarla.


CONTINUA CON LA 10° PARTE
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