sabato 31 dicembre 2022


 Non siete soli, gli Angeli vi accompagnano
    
                                                


Come trovare lo scopo e il significato nella nostra vita? Emmanuel ci ricorda che non siamo soli, siamo accompagnati da esseri di infinita compassione e saggezza... 
In noi c'è un conflitto costante tra intelletto e fede. Qui la difficoltà di incorporare la saggezza eterna nella limitata esperienza umana. In situazioni difficili ci ricorda di chiederci "cosa farebbe un angelo adesso?”. Ci viene ricordato di trovare la nostra saggezza interiore e di confidare nelle nostre capacità. Non è sempre facile, ma così necessario!

Emmanuel parla tramite Pat Rodegast
Trascrizione e traduzione dall'inglese: 


Pat - Sta dicendo:
Emmanuel - Tutti voi siete stati teneramente e dolcemente consapevoli che per tutta la vita siete stati accompagnati da esseri di infinita compassione e infinita saggezza. Eravate consapevoli di avete uno scopo particolare ma tutti avete avuto un conflitto costante con l'intelletto. 
Voglio dirlo di nuovo: avete uno scopo eccezionale. E se vi sembra che vi stia lusingando, è solo per risvegliarvi dallo stupore, dal coma dell'oblio entro il quale vi è stato ordinato di vivere per salvare, come vi sembrava durante infanzia, la vostra stessa vita.

Esploriamo questa avventura dell'essere umano.
In questo momento credete di essere semplicemente ciò che siete. 
Voi intellettualizzate la possibilità, e per alcuni di voi la promessa divina, di esseri eterni. 
Ma la domanda che torna spesso alla mente é: come viverla? Come vive il sé eterno all'interno della forma ristretta e impegnativa dell'esperienza umana. Non è questa la domanda con la quale avete sempre convissuto, forse non consapevolmente, dal momento della vostra nascita? 
Quando “l'angelo” ha preso residenza all'interno della forma fisica, non è stato quello l'inizio dell'alternarsi di felicità, delusione, guarigione, malattia, gioia, dolore?
Questa è la domanda fondamentale dell'umanità in questa fase per il vostro mondo e la vostra vita: come convivono l'angelo e l'essere umano? Cosa fa l'angelo? Dove ha nascosto le ali? Che ne ha fatto dell'aureola, metaforicamente parlando. Come vive la saggezza assoluta dell'eternità all'interno dell'esperienza limitata della vostra umanità e come può essa esprimersi con il limitatissimo vocabolario umano? Non è proprio questo il vostro scopo?

Sapete bene carissimi, tutti voi avete le vostre paure, avete partecipato a battaglie interiori ed esteriori per trovare in voi un equilibrio tra il Cielo e la Terra. Tutti voi avete perso qualcuno che amavate profondamente. La mente è corsa subito in aiuto per mettere bende sul dolore e vi ha detto “va tutto bene, leggi questa pagina, leggi questo libro...”, e la parte umana diceva “no, non va bene, non va affatto bene e non andrà mai bene!”.
Cosa si può fare allora? Mentre vivete le delusioni, le glorie, le vittorie nella vostra vita, dove si trova la l'angelo? Cosa succede all'essere umano? “Esiste un modo?” 
Avete chiesto e vi abbiamo sentito. 

Vi prego di ascoltarmi: ho sentito tutti voi perché siete tutti esseri umani dalle intenzioni auree ed di enormi capacità. Ma voi dite: "come concilio i due aspetti? Come vivo la mia fede se non so incorporarla nel quotidiano, nei dilemmi, nel tumulto, o semplicemente nella noia atroce della mia vita?"
Dov'è Dio, chi sono io, cosa dovrei fare qui? Qual è il mio scopo? Quale miracolo dovrei fare? Cosa dice l'angelo in questo particolare momento  (lo avete detto molte volte nella vostra vita), cosa ci fa qui? Cosa dice questo essere dal potere illimitato?
E cosa faccio io, essere umano spaventato, fragile, e apparentemente limitato, che faccio? 

Ma non è proprio questo lo spartito della melodia della tua vita? 
E allora voi dite: “Va bene Emmanuel, questa è la domanda, ma siamo qui per la risposta!” 
E io con grande orgoglio e piacere vi dico: se non ci fosse la risposta non potreste fare la domanda, verrebbe dal.... Nulla!  Avete sentito quello che ho detto?

Nel momento in cui iniziate a chiedere, sappiate che avete già trovato il tesoro. 
Se dite: “Cosa ci fa un angelo qua?” siete arrivati al punto di ricordare che siete angeli! Capite cosa sto dicendo? 
Quando vedete qualcuno che soffre fisicamente o emotivamente, e pensate: “Se solo potessi mettere la mia mano su di lui/lei e dargli/le pace...” carissimi, avete già trovato il dono che può far sì che la vostra mano porti loro la pace. 
Capite cosa sto dicendo? 
Beh, non proprio, dite voi. 
Va bene, allora andiamo un po' oltre.

Pat - Adesso Emmanuel mi sta dicendo: "Scandisci bene e con attenzione" - "Sì, sto ascoltando!"

Emmanuel - L'unico requisito essenziale è il vostro profondo, nobile, intento aureo di servire la Verità. Vi prego, ascoltate bene. Oltre a ciò, quello che è richiesto è la rimozione delle interferenze che vi ha creato l'abitudine alla paura.

“Possibile che sia così semplice?”, dite voi. 
Ebbene sì!
Quando il mondo vi dice: “chi ti credi di essere?” carissimi, vi prego... che la risposta sia: “Non solo penso, ma so di essere un essere di Luce, un angelo di misericordia, un creatore di miracoli, sono la guarigione del vostro mondo.
Per favore, dite così perché è vero.

Nel momento in cui l'Amore apre il cuore, siete già a Casa.
Ripeto.
Nel momento in cui l'Amore apre il cuore, siete già a Casa.

domenica 4 dicembre 2022

 ATTENZIONE!

A tutti i genitori che sono costretti a dire la verità su Babbo Natale


Figlio: Papà ormai sono grande abbastanza, esiste davvero Babbo Natale?
Papà: Va bene, credo che tu sia diventato grande. Ma prima che ti dica tutto, devo farti una domanda. Ti devo dire che conoscere la verità è un dono pericoloso. Un volta che sei a conoscenza di qualcosa non puoi più tornare indietro. Una volta che saprai la verità su Babbo Natale non lo penserai più come prima. Quindi la mia domanda è: sei sicuro di volerlo sapere?
Pausa.
Figlio: Sì lo voglio sapere.
Papà: Ok te lo dico: sì Babbo Natale esiste.
Figlio: Veramente???
Papà: Sì veramente, ma non è un signore con la barba lunga vestito di rosso.
Questo è quello che si racconta ai bambini. Sai i bambini sono troppo piccoli per conoscere la vera essenza di Babbo Natale, così glielo spieghiamo nel solo modo in cui possono capirlo. La verità su Babbo Natale è che non è per niente una persona, è un'idea.
Pensa a tutti i regali che Babbo Natale ti ha portato in questi anni, molti li ho comprati io, ti ho guardato mentre li aprivi... e mi è mai importato che tu mi ringraziassi? Di sicuro no! Ero felicissimo. Infatti Babbo Natale è l'idea di DARE PER IL GUSTO DI DARE senza aspettarsi nulla in riconoscimenti o ringraziamenti. Quando la settimana scorsa vidi una donna stare male in metropolitana, ho chiamato l'ambulanza e penso che lei non saprà mai che sono stat io. Ecco io per lei sono stat Babbo Natale in quel momento.
Figlio: oh...
Papà: ecco ora che lo sai, fai parte della verità. Ora anche tu devi essere Babbo Natale. Vuol dire che non dovrai mai dire ai bambini la verità ma devi aiutarci a scegliere i regali per loro ma soprattutto devi cercare le occasioni per aiutare le persone. Tutto chiaro?

AIUTIAMOCI A NATALE... e tutti gli altri giorni, siamo gentili...
(Cit. Autore sconosciuto)

giovedì 17 novembre 2022

 Cosa fanno quelli che sono già nel percorso del risveglio? 





1. Non riescono più a guardare la televisione (o guardano contenuti molto selezionati)

2. Per loro competere non ha più senso. Invece di competere, preferiscono condividere, collaborare, aumentando le loro vibrazioni divertendosi insieme.

3. Sanno che la quinta dimensione non è un luogo ma una frequenza. È uno stato vibratorio.

4. Non hanno più paura dell'ignoto.
Sanno che il mondo extra-fisico fa parte della natura e la "paranormalità" dovrebbe essere vista come qualcosa di naturale e non come qualcosa di inquietante.

5. Sanno che il "diavolo" non esiste. 
Ciò che esiste è una grande egregora alimentata da orgoglio, egoismo, avidità, paure e illusioni di separazione, che in fondo sono pienamente capaci di trasmutare.

6. A loro piace stare spesso da soli, in compagnia di animali, della Natura o libri, stanno con altre persone solo se si sentono bene, che li facciano vibrare in alto.

7. Sono consapevoli di avere uno scopo nella vita e agiscono per trovarlo.

8. Hanno capito che vincere nella vita non significa diventare ricchi per poi morire, tanto meno sconfiggere gli altri per dimostrare che sono migliori e più combattivi.
Sanno che vincere nella vita significa superare i propri limiti e le proprie paure.
Vincere è raggiungere la fine della vita con il cuore pulsante di gratitudine sapendo che tutto è stato compiuto e perfetto e che nulla è scontato.

9. Si sono resi conto che in fondo non c'è motivo di provare nostalgia per una "perdita", poiché sono consapevoli che siamo tutti esseri eterni e che la morte non esiste davvero. È un passaggio da una dimensione all’altra.

10. Sono qui per servire, dare e condividere, prima a se stessi e poi a ogni essere vivente che incrocia il loro cammino, lasciando andare l'illusione del controllo e fluendo pienamente con la vita stessa.

11. Sono qui per “amare”.
Amare profondamente ogni essere vivente, ogni più piccolo aspetto della creazione e di tutto ciò che è. 

12. Sono consapevoli di dover sanare le proprie ferite attraverso i processi del perdono verso se stessi e gli altri. Non si sentono vittime ma bensì responsabili per ciò che accade nella loro esistenza che spinge la loro evoluzione personale e spirituale.

13. Le relazioni comuni non hanno più alcun senso. Ricercano una profonda condivisione avendo la comprensione che l’altro è solo una espressione di se stesso. 

14. Rispettano la libertà altrui come la propria. Si accentua una perdita di controllo e giudizio.

15. Percepiscono la presenza divina ovunque e tutto diventa unità divina.
Felice risveglio.

Che sia Luce nella tua vita!





venerdì 2 settembre 2022

Le merende di nonna Pina




Volete pane burro e marmellata o pane e stracchino?
Gli ultimi impegni della nonna: portare me ai giardinetti, cucinare e preparare merende.
Ricordo che nei lunghi pomeriggi invernali, dopo i compiti, giocavo con la mia amichetta Amalia. Con la mamma veniva a trovare la nonna che abitava al piano sotto al mio, nel palazzo anni '50, quando la Crocetta non era ancora il quartiere totalmente gentrificato che è adesso. Amalia, la prima amica. Era così eccitante giocare con lei che la perdonavo anche se quasi ogni volta mi ritrovavo con qualche giocattolo rotto. Aveva un modo di giocare un po' turbolento e dirigeva lei il gioco ma democraticamente mi lasciava poi fare delle modifiche in corso d'opera.

La parte elegante del quartiere Crocetta, oltre il mercato, era silenziosa e senza negozi, quella popolare, invece, aveva cortili dove i bambini giocavano liberi e senza paura. Il nostro era un grande cortile dove c'era un enorme garage custodito. Nei lunghi pomeriggi estivi, soprattutto in giugno e luglio, quando la scuola era finita, giocavamo tutto il pomeriggio, salivamo per la cena verso le sette e trenta e alle nove riscendevamo a giocare. A volte il caldo era tanto ma a quell'età non lo si avverte. Si giocava spesso a pallone o a nascondino. Quel cortile era pieno di cantine, sottoscale, balconi bassi al pian terreno, tutti nascondigli perfetti. Tra i bambini c'era Riccardo, il biondino di cui ero da sempre follemente e segretamente innamorata; ancora adesso è mio grande amico. Qualche volta Riccardo si fermava a parlare con la nonna e questo mi procurava una gioia immensa, come se tramite lei, si avvicinasse un poco a me.

A volte nonna Pina scendeva e si sedeva per un po' a guardarci giocare. Capitava che si fermasse a chiacchierare con lei un anziano signore che lavorava ancora presso il garage nonostante l'età avanzata. Non ho mai saputo il suo nome, aveva una camminata lenta e ondeggiante, forse per l'artrosi, e una grossa pancia come mia nonna. Era dolce come un nonno, come uno gnomo buono. Non ci sgridava mai e quando qualche vetro del garage andava in frantumi per una pallonata, sdrammatizzava e ci redarguiva bonariamente senza convinzione, a differenza del padrone che invece gridava come un matto.

Mi piaceva vedere nonna Pina conversare con quel signore. Scherzavano e parlavano dei loro malanni ma senza pesantezza. Poi lei risaliva nel nostro appartamento al quinto piano. Ogni tanto si affacciava per vedere cosa combinavo e se notava qualche prodezza di troppo specialmente con la bici, con voce tonante urlava "scendi di lì, non fare così! A questi avvertimenti, ovviamente, ho sempre dato pochissimo peso... 

Amalia non ha mai giocato con noi in cortile, non le era permesso, non ho mai capito perché, ma i nostri pomeriggi invernali erano lunghissimi e le merende di mia nonna sempre puntuali e apprezzatissime. 
Verso le sette il campanello suonava e si presentava suo papà, che mi pareva altissimo, quasi sempre in divisa perché era un capitano dell'esercito. 
Quella divisa mi incuteva timore perché non ero abituata a vederne e contrastava con il suo atteggiamento di composta tenerezza verso la figlia. 

Nonna Pina mi voleva molto bene e io verso di lei avevo un sentimento contrastante. Le volevo tanto bene anche io, la capivo, la apprezzavo molto, ma la sua atavica diffidenza e antipatia nei confronti dei meridionali, e quindi verso mio padre, era per me motivo di grande dolore. Col tempo quei suoi sentimenti assurdi pian piano si stemperarono e la sua malattia cardiaca lentamente si aggravò. Non riusciva piú a fare da mangiare come prima e non usciva quasi piú. 

Quando ero ormai ragazza e mi alzavo presto per andare a piedi all'istituto magistrale dove studiavo, lei mi dava la sveglia. Se vedeva che non mi alzavo tornava alla carica dicendo  "su, su, alzati". 
Ricordo che più di una volta le lanciai una pantofola come atto di ribellione... Non si arrabbiò mai e, anzi, quello finì per diventare il rituale del mattino. Io lanciavo la pantofola e lei giocava a schivarla e così, a forza di ridere, mi svegliavo del tutto. 

Gli ultimi anni la nonna Pina li ha passati dormendo davanti alla TV. Si metteva sulla sedia perché la poltrona era troppo bassa e conciliava il sonno, ma si addormentava lo stesso, anche di pomeriggio. L'unica sigaretta della giornata arrivava sempre solo a metá e dovevo stare attentissima a togliergliela dalla mano in tempo. Sul muro si creò un'ombra dove lei si appoggiava...

É morta al mare la mia nonna, proprio dove aveva desiderato, mentre eravamo in vacanza, dopo solo due giorni. Si addormentava anche a pranzo finché non si é svegliata piú. Le ultime sue parole sono state in torinese: "Dame na cica per piasí". Certo nonna, eccola. Non si nega una sigaretta ai condannati a morte... Neanche una nota riuscí a tirare. L'ambulanza arrivò da Savona dopo un tempo infinito e senza ossigeno, e Pina volò via finalmente libera dal peso del suo corpo ingombrante. L'ombra rimasta sul muro evocava la sua presenza. Sembrava dire, sono ancora qui. E molto probabilmente cosí era.

Una vita complicata quella di nonna Pina. L'infanzia poverissima, la morte del padre per cirrosi, poi quella della madre per la Spagnola, tre fratellini da crescere. La giovinezza a casa della zia, senza alcun controllo, il lavoro nella fabbrica di scatole e la sera a ballare scatenata il charleston, ogni sera, senza regole, fino a sfinirsi al limite dell'esaurimento. "Correvo per Torino come una cavalla sbandata", diceva sempre ricordando quei tempi. "Davo appuntamento a tre giovanotti contemporaneamente, dicevo di sí a tutti, non la davo a nessuno e lasciavo che litigassero tra loro!". Uno però, un siciliano, la prese male e tempestò la porta di pugni urlando tutta la notte "Voglio la Pinaaaa, dov'é la Pinaaaa" spaventando tutto il palazzo. Poi a vent'anni l'incontro con Giuseppe, diciannove anni piú di lei. Un signore distinto, di buona famiglia borghese di Ovada, un "padre", finalmente. L'amore folle e la nascita scandalosa, per allora, di mia mamma fuori dal matrimonio che finí nascosta, a balia, in campagna, per due anni con conseguenze devastanti per la sua psiche nonostante l'amore immenso dei genitori e le loro visite della domenica. Gemma lo seppe solo quando vide i documenti al momento di sposarsi con mio padre Edoardo. "C'é un errore, io mi chiamo Bertolini, non Silvestri!" Allora il prete con dolcezza le spiegò il perché... E poi Pina fece il diavolo a quattro per avere un altro figlio ma Giuseppe fu irremovibile. Troppo vecchio per un altro figlio che sarebbe rimasto troppo presto senza padre... Cose d'altri tempi... Volarono pentole e piatti per giorni, mi raccontava la nonna... Il nonno morí subito dopo il matrimonio di mia mamma, sei anni prima che io nascessi. La "signora" Bertolini cosí rimase vedova e dopo qualche anno si ammalò e venne ad abitare da noi nel piccolo appartamento di via Vespucci. Io avevo quattro anni e non ricordo la casa senza la sua presenza. La sera mi prendeva sulle ginocchia e mi insegnava a pronunciare bene le parole con la Q che scambiavo con la T e mi cantava canzoni e soprattutto filastrocche lunghe e bellissime. "Ecco il cielo tutto stellato, si volta il foglio si vede il mercato...." e io mi perdevo in sogni di luoghi lontani e misteriosi.

Ora abito nei pressi del cimitero monumentale di Torino. Ogni tanto ci vado a passeggiare quando ho bisogno di silenzio e raccoglimento all'aperto, camminando. I grandi alberi e gli uccelli che vi abitano, le belle statue e le grandi tombe ottocentesche, mi riportano ad un tempo lontano quando, con lei e con mia mamma, il giorno di Ognissanti andavo a "trovare" i suoi parenti.
La grande croce centrale sul viale principale accoglie i visitatori e lì mi fermo sempre a pensare a nonna Pina. Da qualche anno la penso molto più spesso e la sento vicina. Dopo più di 40 anni dalla sua dipartita il mio affetto per lei è ora più consapevole e maturo, il suo ricordo intatto e libero da qualsiasi negatività. La mia nonna che mi adorava e con la quale ho passato tanto tempo, è qui con me. Sempre. Mi mancano solo le sue merende...

Cronos, il tempo, è un'illusione di questa realtà tridimensionale.

domenica 7 agosto 2022

Rinunciare al Paradiso piuttosto che abbandonare un cane

di Sergio Manna, pastore valdese di Rorà, Val Pellice 





Yudhishthira disse: "Si dice che l'abbandono di una creatura devota e fedele sia un gravissimo peccato, pari nel mondo all'atto di uccidere un brahmano! Per questo io oggi non abbandonerò in alcun modo questa creatura, o grande Indra, per mero desiderio della mia personale felicità. Una creatura spaventata, che mi é devota, che é tormentata perché non ha altro rifugio, che si é rivolta a me, che é misera e incapace di proteggere sé stessa, che desidera salvare la propria vita. Possa io compiere ogni sforzo per non abbandonare mai una simile creatura, neppure a costo della mia stessa vita". (Mahabharata, parvam 17, adhyaya 3, strofe 7-16).



Siccome mi piace quando la riflessione biblica é incentrata sul tema che è al centro della nostra rivista mensile, ho deciso per una volta di attingere a una fonte extrabiblica che mi sembrava appropriata. La Bibbia, infatti, fatta eccezione per il riferimento ai cagnolini che mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni (Matteo 15, 27) non riporta grandi esempi di interazioni positive tra cani e umani.

Per contro, devo ammettere che mi ha sempre commosso un racconto contenuto nel Mahabharata, poema epico indiano composto in sanscrito tra il IV sec a.C. e il IV sec d.C. (uno dei testi religiosi più importanti dell'Induismo). In esso Yudhishthira, il primo virtuoso dei cinque fratelli Pandava (eroi in conflitto con i loro cugini Kaurava), dopo aver abbandonato tutto e giunto alle porte del cielo, pronto ad entrare in Paradiso, viene fermato dal dio Indra che gli ingiunge di lasciare il cane randagio che, sbucato fuori dal nulla, lo aveva accompagnato nella difficile ultima ascesa al sacro monte Kailash. Yudhishthira prega il dio di lasciar entrare il cane perché ne ha compassione, ma Indra insiste dicendo che in Paradiso i cani non entrano e che nulla di male nell'abbandonare quella bestia. Al che l'eroe risponde che quello sarebbe un atto ignobile e che preferisce non accedere alla prosperità del Paradiso se per giungere a essa deve abbandonare una creatura fedele. All'ennesima replica di Indra che non vede alcuna crudeltà nell'abbandono del cane e che gli impone di scegliere tra quella bestia e il Paradiso, Yudhishthira pronuncia le parole riportate nei versetti del Mahabharata scelti per questa riflessione e decide di restare con il cane, rinunciando al Paradiso, piuttosto che abbandonarlo.

Da cristiano che ama gli animali e convive con un cane e un gatto, devo dire che mi sento profondamente toccato da questo testo antico che appartiene a una tradizione religiosa e spirituale molto diversa dalla mia, ma che parla al mio cuore. E spero che parli anche alle lettrici e ai lettori del nostro giornale e a coloro che ritengono che l'amore del prossimo possa o debba includere anche gli animali.

A ogni modo, mi piace il fatto che il racconto indiano in realtà si concluda con un lieto fine. Quello dell'abbandono del cane si rileverà, infatti, essere un'ennesima prova di fede e di virtù, superata la quale Yudhishthira entrerà in Paradiso.








martedì 19 luglio 2022

Corona Virus
"I virus prosperano quando c'è uno squilibrio perché sono i restauratori dell'equilibrio.
Riequilibrano e favoriscono l'evoluzione delle specie (...)"


Modelli economici e culturali non più idonei a mantenere un equilibrio sociale hanno messo in crisi totalmente gran parte del pianeta. Non si sta parlando della recente pandemia, si parla di un movimento complesso, di una realtà che ha origini lontane. “Quando si prepara in cucina il cibo, alla fine si serve in tavola” diceva il filosofo J. Krishnamurti. La situazione che abbiamo sotto gli occhi è il risultato di cause che hanno lavorato da anni nella direzione di tutto questo. E’ bastata una pandemia per mettere in evidenza in modo ancor più crudo il disastro che una gran parte dell’umanità ha preparato per se stessa. Non è il laboratorio cinese, Bill Gates o Vattelapesca la causa di tutto ciò. Certo ci sono interessi enormi che surfano sull’onda di questo crollo, ma esso è ancor più vasto, profondo e drammatico di ogni particolare che ne fa parte, che siano case farmaceutiche, partiti politici, corruzione, lobbies, incompetenti al potere, mafie, banche e quant’altro. Prima del Covid eravamo nella merda fino al collo, ora ce ne stiamo lentamente e drammaticamente rendendo conto. Quindi non è con l’anno nuovo o con un vaccino che tornerà il sole e brilleranno arcobaleni. Siamo solo all'inizio.
(Paolo Polli, 2021)











domenica 17 luglio 2022

Vedi Napoli poi muori!






Un passato ancestrale riverbera dai muri, dai monumenti, dalla gente.
Nei vicoli l'atmosfera è leggera nonostante l'incombere da sempre di Lei: 'a Muntagna.

Il traffico infernale annulla qualsiasi sensazione, è omologato e omologante. La differenza con qualsiasi altra città italiana è solo nei gigantali palazzi spagnoli che appena si intravedono nel caos.

Al contrario, nei vicoli di Forcella e dei Decumani, la zona comunemente chiamata Spaccanapoli, il vociare di sottofondo è interrotto a cadenza regolare solo dallo scoppiettante motore degli scooter che fanno la gimcana tra i passanti. L'
odore di pummarola si avverte già da metà mattina e sempre qualcuno canta, qualcun altro chiama o impreca, sempre cantando. I cinque sensi si esaltano e la vista quasi si annebbia tanta arte è in ogni angolo...

L'atteggiamento fatalista e baldanzoso nei confronti della morte è quasi sottinteso e come incarnazioni di Pulcinella tutti sbeffeggiano la morte  per esorcizzarla, al contempo rimane un tabù e non se ne parla mai seriamente.

Goethe la descrive come un paradiso nel suo "Viaggio in Italia". Fortunato lui, nel coglierla nel momento di maggior splendore, quando i fumi del progresso non avevano ancora violentato la trasparenza del mare, le colline di agrumeti e orti infiniti, il golfo la cui vista toglieva il respiro. 

L'anima di Napoli riuscì a coglierla perfettamente il pittore Giandomenico Tiepolo nei  suoi metafisici Pulcinella che rappresentano il popolo tutto, la napoletanità fatta persona.




Era nascosta nel cuore della povera gente dei "bassi" la forza incosciente e istintiva come quella del vulcano, che liberò la città dai nazisti nelle famose "quattro giornate"(1). Dopo la guerra la città tutta, cioè uomini donne scugnizzi e femminielli, fu insignita dalla medaglia d'oro al valor militare ma penso che la maggior parte non lo venne a sapere.

Molti di Napoli hanno timore. E fanno bene. Le sue contraddizioni sono estreme ed è meglio assecondare il genius loci che ancora la domina. Si nasconde negli angoli dei vicoli più stretti divertendosi a tirar brutti scherzi a chi le fa resistenza.
 
Nel '500 la raffinatissima "Villanella alla napoletana"(2), nel '700 l'ipnotica tarantella(3), nell'800 e '900 la canzone classica napoletana che interpreta magistralmente le passioni umane(4), vennero tutte a galla dal passato dopo la Seconda Guerra mondiale, forse proprio a causa dell'impresa straordinaria dell'auto-liberazione. 


Raccontare Napoli è impossibile. 
Solo la poesia ci riesce.
Pino ci è riuscito alla perfezione(5).




Napule è...
Napule è mille culure
Napule è mille paure
Napule è a voce de' criature
Che saglie chianu chianu
E tu sai ca' non si sula
Napule è nu sole amaro
Napule è ardore e' mare
Napule è na' carta sporca
E nisciuno se ne importa
E ognuno aspetta a' sciorta
Napule è na' camminata
Int'e viche miezo all'ate
Napule è tutto nu suonno
E a' sape tutto o' munno
Ma nun sanno a' verità
Napule è mille culture
(Napule è mille paure)
Napule è nu sole amaro
(Napule è addore e' mare)
Napule è na' carta sporca
(E nisciuno se ne importa)
Napule è na' camminata
(Int' e viche miezo all'ate)
Napule è mille culure
(Napule è mille paure)
Napule è nu sole amaro
(Napule è addore e' mare)
Pino Daniele






lunedì 13 giugno 2022

 La parentesi inattesa




Settecento metri. Tanto era lunga la nostra passeggiata clandestina. Infatti i metri concessi "per portare fuori il cane" erano solo 200 ma noi il cane non ce l'avevamo e di metri ne facevamo 700 ad andare e 700 a tornare, tanto è lungo il viale alberato di corso Regio Parco.  La pavimentazione di porfido finisce con "la rotonda del tram Diogene" e dopo, solo ghiaietta ed erba con margheritine spontanee. Arrivati al limite pedonabile c'è l'incrocio, e al di là di quello il maestoso cimitero monumentale anch'esso da qualche giorno inaccessibile. Lì ci fermavamo e tornavamo sui nostri passi.
E' incredibile come un luogo che ci è sempre stato sotto il naso riveli tanti particolari quando lo si osserva giorno dopo giorno, con attenzione. Immagino succeda così durante l'ora d'aria in carcere. Quelle nostre passeggiate veloci erano attese, pregustate e godute fino in fondo, anche con la pioggia.
Una primavera spettacolare quella del 2020, l'anno della Grande Paura. 

La bellezza sfacciata della natura contrastava potentemente con i pensieri dominanti nella sfera umana. Senza traffico un silenzio irreale dominava su tutto lasciando finalmente affiorare i canti dei vari uccelli che abitano, ignorati, i viali alberati e i parchi. Gli uccelli del parco del Po si avventuravano in città. Un airone cinerino attirò la mia attenzione un giorno mentre riflettevo al mio posto, all'ombra dell'acero. Una tartaruga riposava, un altro giorno, sulla sponda fangosa, un altro ancora, uno svasso (non se ne vedono mai in città), pescava tranquillo facendo lunghe immersioni sott'acqua. In altre città più piccole si vedevano anitre con dietro la fila di anatrini attraversare la strada e cerbiatti guardare incuriositi la loro immagine riflessa nelle vetrine, la pietra levigata del marciapiede un po' troppo scivolosa per i loro zoccoli... La natura finalmente respirava. E noi con lei.

Col passare dei giorni, un richiamo irresistibile fuori e dentro di noi ci spinse a cambiare percorso. Attraversare l'incrocio, costeggiare il parco, e ritrovarsi sull'altro fiume, era diventata un'eccitante impresa.
Il fiume scorreva come sempre indifferente ma in quei giorni silenziosi profumava di fresco e di pulito, le sue acque limpide lasciavano vedere bene il fondo e la sua voce si poteva finalmente ascoltare.

Spostammo l'orario dei pasti di un'ora. Alle 13 e alle 20 neanche si incontravano i soliti cani con padrone... tantomeno i carabinieri.
Col passare del tempo le giornate si allungavano e i tramonti dorati erano sempre più frequenti.
Le nostre ore d'aria si facevano sempre più lunghe e clandestine. Il lungofiume con le sue sponde scoscese ed erbose era assolutamente irresistibile e il fogliame sempre più fitto trasmetteva un senso di protezione da sguardi indiscreti. 
Fu così che un giorno feci la conoscenza di quello che è diventato "il mio albero". Un acero giapponese. Le sue piccole foglie a cinque punte sono graziosissime.
Il mio albero fa parte di una famigliola di tre e lui, più in basso sulla sponda, si sporge sul fiume come a volerlo toccare. Sotto la sua ombra dolce tante volte mi sono fermata ad ascoltare il fiume che ripete all'infinito la sua cantilena: nulla rimane, tutto passa, tutto passa, tutto passa e va...

Sono passati infatti, più di due anni da quella primavera. In certi momenti mi ritrovo a sentire una struggente nostalgia di quei mesi silenziosi ma ricchi di nuovi pensieri, speranze, scoperte all'interno di me. 
La strana sospensione del tempo, le serate finalmente senza il sottofondo dei notiziari. Al loro posto le parole di Alessandro Manzoni! Il suo celebre romanzo letto dalla voce profonda dell'attore che leggeva sul canale culturale nazionale, condiva di meraviglia l'ora di cena. Riscoprire l'estetica del nostro idioma, la profondità di comprensione dell'animo umano, la bellezza dell'arte di uno dei nostri autori più celebri, spesso letto troppo presto per poter essere apprezzato e quindi relegato tra "i classici". E poi la musica. Musica registrata su audiocassette ancora incredibilmente sane dopo quarant'anni, riscoperta tra i miei cimeli statunitensi, sprizzava energia e ricordi di quello che mi è sempre parso l'anno più bello della mia vita. Ogni brano una storia di quell'anno lentissimo, infinito. Musica classica e musica per danzare in 45mtq come in una pista da ballo, come quella volta a Pasquetta, per la gioia di rivedere i vicini di ballatoio dopo un mese e mezzo. Mangiare insieme all'aperto nel sole di aprile è stata una vera grazia dal Cielo... 

Impensabile nostalgia di pace e gioia in uno dei periodi più orridi della storia umana.
Ci siamo salvati sulla nostra zattera d'amore. Ci siamo stretti più forte nella tempesta riparandoci con la nostra intimità ritrovata, confermata dal tempo, aggrappandoci all'ironia, ai sorrisi e agli abbracci, al canto dei merli, alle piccole cose buone di sempre, alle parole eterne dei Maestri e dei saggi. Ci siamo riparati con loro dall'inarrestabile marea di parole che ogni giorno tracimava dalla rete.  Dalla strada arrivavano le urla delle ambulanze e ogni volta lo sforzo per rimanere in equilibrio e non farsi trascinare dalla Grande Paura.

E i bambini, gioielli brillanti oltre lo schermo che separa. Tanto lavoro "a distanza", ma le ore scivolavano via veloci come quando si crea, e allora non è più lavoro ma tempo di qualità, vita vissuta nell'entusiasmo del trovare sempre nuove strade per stimolare curiosità ed entusiasmo nonostante la "reclusione" di quei piccoli angeli.

E la preghiera. Una preghiera senza religione, onnicomprensiva.
"Che questo almeno possa servire e tramutarsi in Bene"... ma ho capito, col senno di poi, che non era Causa ma Effetto. Alcuni lo chiamano Karma, effetto di infinite cause, infiniti affronti alla nostra Madre Terra e al nostro Padre Spirito.
E allora bisogna solo aspettare che passi la notte, e intanto sognare, immaginare e lottare per un nuovo mattino. 


Haiku 2020

Sussurra il fiume,

galleggia il fiore verso il mare.

Io con lui.

 



domenica 5 giugno 2022

Piccolo grande dramma a lieto fine


Bellinzago novarese 4 giugno 2022.

Oggi ho assistito ad un dramma a lieto fine. Un piccolo di merlo é caduto dal nido nel cortile del signor Enrico. Ancora incapace di volare aveva tentato un primo lancio verso terra di prima mattina.
La micia dei vicini, Tino e Grazia, era pronta per acchiapparlo ma entrambi i genitori hanno attaccato la micia con picchiate vertiginose che finivano a pochi millimetri dalla sua testa, finché ha pensato bene di andarsene.

Purtroppo il piccolino dalle zampe sproporzionatamente lunghe, ha tentato un balzo ma é solo riuscito ad infilarsi dentro il garage semiaperto del signor Enrico dove la micia avrebbe avuto facile accesso. 

Dalle 9 alle 15,30  i due genitori hanno continuato ininterrottamente a chiamare il piccolino per farlo uscire con veri e propri urli spaccatimpani e voli frenetici avanti e indietro dal nido nel sottotetto, al cortile del signor Enrico.

Finalmente verso le 16 il piccolo esce... Io, Gianni, Emilio e il signor Enrico cerchiamo di capire come fare per prenderlo finché, esasperato, Emilio chiama sua moglie che si rivela esperta di uccellini caduti. Arriva poco dopo armata di guanti di plastica, e con mosse sicure e tranquille lo prende senza sforzo o impaccio e lo porta nel giardino dell'anziano signor Roberto che abita di fronte.

Due secondi dopo i due genitori arrivano dal figlioletto spaventato... lieto fine.

Emilio dice che a quel punto gli porteranno cibo per terra e gli insegneranno a beccare a terra finché fra qualche giorno sarà in grado di volare. Se si tenta di raccogliere i piccoli e li si lancia per farli volare, il più delle volte si vanno a schiantare su qualche ostacolo e muoiono sul colpo.

Quasi tutti ignoriamo il vivere di queste creature che ci circondano numerose anche in città. Il nostro pensiero antropocentrico è, da un certo punto di vista, piuttosto ridicolo: il "capolavoro della natura" sta mettendo a rischio la vita su questo pianeta, l'unica Casa che abbiamo, l'unico pianeta con forme di vita nel raggio di qualche migliaio di anni luce.




sabato 21 maggio 2022

Esplorazioni in un giardino urbano nel cuore di Torino

di Alberto Selvaggi*Torino 14 giugno 2021

botanico, Istituto per le Piante da Legno e l'Ambiente (IPLA) di Torino

Immagini tratte dal profilo della community Facebook Prinz Eugen




Mi trovo in un pomeriggio di tarda primavera nel giardino dell'ex Buon Pastore (Prinz Eugen) di corso Principe Eugenio, a esplorare un giardino lasciato ad una evoluzione quasi libera da decenni, dove i limitati interventi e le scarse frequentazioni umane hanno lasciato intatta una natura originatesi dall'iniziale impianto di giardino, successivamente arricchitesi di specie arrivate da luoghi diversi e con modalità diverse. Un luogo estraneo alle frequentazioni dell'uomo, se non limitate, e ancora più estraneo da interventi di gestione e di cura "tradizionali".

E' un giardino selvaggio, e per questo affascinante come una giungla tropicale, per un esploratore metropolitano con un occhio allenato alla botanica.



Emerge soprattutto la diversità che ospita il giardino: in un paio d'ore arrivo a contare 90 specie diverse di piante, tra spontanee, coltivate ed esotiche. Gli esemplari arborei sono dominati da una specie tipica dei viali alberati, Ulmus pumila L., che si è ulteriormente diffusa nel giardino, quindi da filari di kaki (Diospyros kaki L.f.), siepi di alloro (Laurus nobilis L.), palme (Trachycarpus fortunei (Hook.) H.Wendl.) cui si accompagna una flora arbustiva e arborea cresciuta spontaneamente a partire da semi dispersi dal vento o dagli uccelli.Sono presenti bagolari (Celtis australis L.), salici (Salix caprea L.), sambuchi (Sambucus nigra L.).

Lascia stupiti la ricchezza della flora erbacea: rilevo la presenza di piante legate ad ambienti differenti e lontani nello spazio che si trovano a convivere in un ridotto spazio e a concorrere tra di loro per occuparlo. E' possibile riconoscere tra gli habitat di questo microcosmo, un ampio prato dominato dalla regina dei prati da sfalcio, l'avena altissima (Arrthenatherum elatius L. P.Beauv. ex J.Presl & C.Presl), quindi muri colonizzati dalle felci (Asplenium trichommanes L., Asplenum ruta-muraria L.) lembi di sottobosco con flora tipica nemorale (Carex remota L., Aegopodium podagraria L.), margini di vegetazione rudereale (Chalidonium majus L.)





Alcune specie esotiche ci testimoniano una storia lontana di quando, proprio a partire da Torino e dintorni, si sono diffuse in Piemonte (come la Phytolacca americana L. coltivata per le bacche usate per colorare il vino) l'artemisia dei fratelli Verlot (Artemisia verlotiorum Lamotte), introdotta per aromatizzare i vermouth, la fragola dei "babi" (Duchesnea indica (Andrews) Focke), introdotta e coltivata a Torino nel giardino dell'Orto botanico fin dal 1816 e da qui spontaneizzatesi in tutto il nord Italia. Il papavero (Papaver rhoeas L.) e il fiordaliso (Centaurea cyanus L.), quest'ultimo ben più raro, ci ricordano i campi di un tempo. 



Per ogni specie ci sarebbe una storia da raccontare. Raccolgo un po' di esemplari incogniti per chiudere la lista in un secondo tempo e il pomeriggio è finito. Ritorno su corso Principe Eugenio con la sensazione di essere riemerso da un altro mondo, mi rimane negli occhi la luce del sole che si riflette sulle molte immagini di piante che ho scansionato con gli occhi e con la mente. Provo tuttavia ad immedesimarmi per un attimo in un osservatore qualunque senza la mia capacità di lettura e la mia visione del mondo naturale: il suo giudizio potrebbe essere molto diverso dal mio e il luogo di meraviglia della mia esplorazione potrebbe apparirgli un cumulo di erbacce, un ambiente inospitale e pericoloso, da riqualificare.

Tuttavia la biodiversità, di cui molti parlano spesso a sproposito, non si valuta con i canoni dell'estetica umana, peraltro mutevole e opinabile: la ricchezza di specie, con tutti i potenziali benefici che ne derivano, è un valore in sé, indifferente alle scelte e valutazioni dell'uomo.

Nelle mie esplorazioni pluridecennali della natura urbana e postindustriale di Torino, raramente mi sono trovato a censire in così poco spazio tanta diversità.



Mi piacerebbe che trovasse spazio nel dibattito cittadino, oltre alla fondamentale discussione sulla necessità di conservare i pochi spazi e polmoni verdi residuali ancora presenti nel centro della città per garantire il benessere comune, anche la consapevolezza che esiste un'idea di giardino diversa da quella a cui siamo abituati, che si avvicina di più alla spontaneità della natura.

Mi rincuora sapere che, in qualunque modo vadano le cose, la natura è pronta a ricolonizzare ogni nuovo terreno abbandonato, del tutto indifferente alle misere questioni umane.












Chiesetta sconsacrata dell'ex Istituto di correzione femminile Buon Pastore:

https://www.museotorino.it/view/s/330968993806495cab11589f8f8b517e