venerdì 2 settembre 2022

Le merende di nonna Pina




Volete pane burro e marmellata o pane e stracchino?
Gli ultimi impegni della nonna: portare me ai giardinetti, cucinare e preparare merende.
Ricordo che nei lunghi pomeriggi invernali, dopo i compiti, giocavo con la mia amichetta Amalia. Con la mamma veniva a trovare la nonna che abitava al piano sotto al mio, nel palazzo anni '50, quando la Crocetta non era ancora il quartiere totalmente gentrificato che è adesso. Amalia, la prima amica. Era così eccitante giocare con lei che la perdonavo anche se quasi ogni volta mi ritrovavo con qualche giocattolo rotto. Aveva un modo di giocare un po' turbolento e dirigeva lei il gioco ma democraticamente mi lasciava poi fare delle modifiche in corso d'opera.

La parte elegante del quartiere Crocetta, oltre il mercato, era silenziosa e senza negozi, quella popolare, invece, aveva cortili dove i bambini giocavano liberi e senza paura. Il nostro era un grande cortile dove c'era un enorme garage custodito. Nei lunghi pomeriggi estivi, soprattutto in giugno e luglio, quando la scuola era finita, giocavamo tutto il pomeriggio, salivamo per la cena verso le sette e trenta e alle nove riscendevamo a giocare. A volte il caldo era tanto ma a quell'età non lo si avverte. Si giocava spesso a pallone o a nascondino. Quel cortile era pieno di cantine, sottoscale, balconi bassi al pian terreno, tutti nascondigli perfetti. Tra i bambini c'era Riccardo, il biondino di cui ero da sempre follemente e segretamente innamorata; ancora adesso è mio grande amico. Qualche volta Riccardo si fermava a parlare con la nonna e questo mi procurava una gioia immensa, come se tramite lei, si avvicinasse un poco a me.

A volte nonna Pina scendeva e si sedeva per un po' a guardarci giocare. Capitava che si fermasse a chiacchierare con lei un anziano signore che lavorava ancora presso il garage nonostante l'età avanzata. Non ho mai saputo il suo nome, aveva una camminata lenta e ondeggiante, forse per l'artrosi, e una grossa pancia come mia nonna. Era dolce come un nonno, come uno gnomo buono. Non ci sgridava mai e quando qualche vetro del garage andava in frantumi per una pallonata, sdrammatizzava e ci redarguiva bonariamente senza convinzione, a differenza del padrone che invece gridava come un matto.

Mi piaceva vedere nonna Pina conversare con quel signore. Scherzavano e parlavano dei loro malanni ma senza pesantezza. Poi lei risaliva nel nostro appartamento al quinto piano. Ogni tanto si affacciava per vedere cosa combinavo e se notava qualche prodezza di troppo specialmente con la bici, con voce tonante urlava "scendi di lì, non fare così! A questi avvertimenti, ovviamente, ho sempre dato pochissimo peso... 

Amalia non ha mai giocato con noi in cortile, non le era permesso, non ho mai capito perché, ma i nostri pomeriggi invernali erano lunghissimi e le merende di mia nonna sempre puntuali e apprezzatissime. 
Verso le sette il campanello suonava e si presentava suo papà, che mi pareva altissimo, quasi sempre in divisa perché era un capitano dell'esercito. 
Quella divisa mi incuteva timore perché non ero abituata a vederne e contrastava con il suo atteggiamento di composta tenerezza verso la figlia. 

Nonna Pina mi voleva molto bene e io verso di lei avevo un sentimento contrastante. Le volevo tanto bene anche io, la capivo, la apprezzavo molto, ma la sua atavica diffidenza e antipatia nei confronti dei meridionali, e quindi verso mio padre, era per me motivo di grande dolore. Col tempo quei suoi sentimenti assurdi pian piano si stemperarono e la sua malattia cardiaca lentamente si aggravò. Non riusciva piú a fare da mangiare come prima e non usciva quasi piú. 

Quando ero ormai ragazza e mi alzavo presto per andare a piedi all'istituto magistrale dove studiavo, lei mi dava la sveglia. Se vedeva che non mi alzavo tornava alla carica dicendo  "su, su, alzati". 
Ricordo che più di una volta le lanciai una pantofola come atto di ribellione... Non si arrabbiò mai e, anzi, quello finì per diventare il rituale del mattino. Io lanciavo la pantofola e lei giocava a schivarla e così, a forza di ridere, mi svegliavo del tutto. 

Gli ultimi anni la nonna Pina li ha passati dormendo davanti alla TV. Si metteva sulla sedia perché la poltrona era troppo bassa e conciliava il sonno, ma si addormentava lo stesso, anche di pomeriggio. L'unica sigaretta della giornata arrivava sempre solo a metá e dovevo stare attentissima a togliergliela dalla mano in tempo. Sul muro si creò un'ombra dove lei si appoggiava...

É morta al mare la mia nonna, proprio dove aveva desiderato, mentre eravamo in vacanza, dopo solo due giorni. Si addormentava anche a pranzo finché non si é svegliata piú. Le ultime sue parole sono state in torinese: "Dame na cica per piasí". Certo nonna, eccola. Non si nega una sigaretta ai condannati a morte... Neanche una nota riuscí a tirare. L'ambulanza arrivò da Savona dopo un tempo infinito e senza ossigeno, e Pina volò via finalmente libera dal peso del suo corpo ingombrante. L'ombra rimasta sul muro evocava la sua presenza. Sembrava dire, sono ancora qui. E molto probabilmente cosí era.

Una vita complicata quella di nonna Pina. L'infanzia poverissima, la morte del padre per cirrosi, poi quella della madre per la Spagnola, tre fratellini da crescere. La giovinezza a casa della zia, senza alcun controllo, il lavoro nella fabbrica di scatole e la sera a ballare scatenata il charleston, ogni sera, senza regole, fino a sfinirsi al limite dell'esaurimento. "Correvo per Torino come una cavalla sbandata", diceva sempre ricordando quei tempi. "Davo appuntamento a tre giovanotti contemporaneamente, dicevo di sí a tutti, non la davo a nessuno e lasciavo che litigassero tra loro!". Uno però, un siciliano, la prese male e tempestò la porta di pugni urlando tutta la notte "Voglio la Pinaaaa, dov'é la Pinaaaa" spaventando tutto il palazzo. Poi a vent'anni l'incontro con Giuseppe, diciannove anni piú di lei. Un signore distinto, di buona famiglia borghese di Ovada, un "padre", finalmente. L'amore folle e la nascita scandalosa, per allora, di mia mamma fuori dal matrimonio che finí nascosta, a balia, in campagna, per due anni con conseguenze devastanti per la sua psiche nonostante l'amore immenso dei genitori e le loro visite della domenica. Gemma lo seppe solo quando vide i documenti al momento di sposarsi con mio padre Edoardo. "C'é un errore, io mi chiamo Bertolini, non Silvestri!" Allora il prete con dolcezza le spiegò il perché... E poi Pina fece il diavolo a quattro per avere un altro figlio ma Giuseppe fu irremovibile. Troppo vecchio per un altro figlio che sarebbe rimasto troppo presto senza padre... Cose d'altri tempi... Volarono pentole e piatti per giorni, mi raccontava la nonna... Il nonno morí subito dopo il matrimonio di mia mamma, sei anni prima che io nascessi. La "signora" Bertolini cosí rimase vedova e dopo qualche anno si ammalò e venne ad abitare da noi nel piccolo appartamento di via Vespucci. Io avevo quattro anni e non ricordo la casa senza la sua presenza. La sera mi prendeva sulle ginocchia e mi insegnava a pronunciare bene le parole con la Q che scambiavo con la T e mi cantava canzoni e soprattutto filastrocche lunghe e bellissime. "Ecco il cielo tutto stellato, si volta il foglio si vede il mercato...." e io mi perdevo in sogni di luoghi lontani e misteriosi.

Ora abito nei pressi del cimitero monumentale di Torino. Ogni tanto ci vado a passeggiare quando ho bisogno di silenzio e raccoglimento all'aperto, camminando. I grandi alberi e gli uccelli che vi abitano, le belle statue e le grandi tombe ottocentesche, mi riportano ad un tempo lontano quando, con lei e con mia mamma, il giorno di Ognissanti andavo a "trovare" i suoi parenti.
La grande croce centrale sul viale principale accoglie i visitatori e lì mi fermo sempre a pensare a nonna Pina. Da qualche anno la penso molto più spesso e la sento vicina. Dopo più di 40 anni dalla sua dipartita il mio affetto per lei è ora più consapevole e maturo, il suo ricordo intatto e libero da qualsiasi negatività. La mia nonna che mi adorava e con la quale ho passato tanto tempo, è qui con me. Sempre. Mi mancano solo le sue merende...

Cronos, il tempo, è un'illusione di questa realtà tridimensionale.