lunedì 13 giugno 2022

 La parentesi inattesa




Settecento metri. Tanto era lunga la nostra passeggiata clandestina. Infatti i metri concessi "per portare fuori il cane" erano solo 200 ma noi il cane non ce l'avevamo e di metri ne facevamo 700 ad andare e 700 a tornare, tanto è lungo il viale alberato di corso Regio Parco.  La pavimentazione di porfido finisce con "la rotonda del tram Diogene" e dopo, solo ghiaietta ed erba con margheritine spontanee. Arrivati al limite pedonabile c'è l'incrocio, e al di là di quello il maestoso cimitero monumentale anch'esso da qualche giorno inaccessibile. Lì ci fermavamo e tornavamo sui nostri passi.
E' incredibile come un luogo che ci è sempre stato sotto il naso riveli tanti particolari quando lo si osserva giorno dopo giorno, con attenzione. Immagino succeda così durante l'ora d'aria in carcere. Quelle nostre passeggiate veloci erano attese, pregustate e godute fino in fondo, anche con la pioggia.
Una primavera spettacolare quella del 2020, l'anno della Grande Paura. 

La bellezza sfacciata della natura contrastava potentemente con i pensieri dominanti nella sfera umana. Senza traffico un silenzio irreale dominava su tutto lasciando finalmente affiorare i canti dei vari uccelli che abitano, ignorati, i viali alberati e i parchi. Gli uccelli del parco del Po si avventuravano in città. Un airone cinerino attirò la mia attenzione un giorno mentre riflettevo al mio posto, all'ombra dell'acero. Una tartaruga riposava, un altro giorno, sulla sponda fangosa, un altro ancora, uno svasso (non se ne vedono mai in città), pescava tranquillo facendo lunghe immersioni sott'acqua. In altre città più piccole si vedevano anitre con dietro la fila di anatrini attraversare la strada e cerbiatti guardare incuriositi la loro immagine riflessa nelle vetrine, la pietra levigata del marciapiede un po' troppo scivolosa per i loro zoccoli... La natura finalmente respirava. E noi con lei.

Col passare dei giorni, un richiamo irresistibile fuori e dentro di noi ci spinse a cambiare percorso. Attraversare l'incrocio, costeggiare il parco, e ritrovarsi sull'altro fiume, era diventata un'eccitante impresa.
Il fiume scorreva come sempre indifferente ma in quei giorni silenziosi profumava di fresco e di pulito, le sue acque limpide lasciavano vedere bene il fondo e la sua voce si poteva finalmente ascoltare.

Spostammo l'orario dei pasti di un'ora. Alle 13 e alle 20 neanche si incontravano i soliti cani con padrone... tantomeno i carabinieri.
Col passare del tempo le giornate si allungavano e i tramonti dorati erano sempre più frequenti.
Le nostre ore d'aria si facevano sempre più lunghe e clandestine. Il lungofiume con le sue sponde scoscese ed erbose era assolutamente irresistibile e il fogliame sempre più fitto trasmetteva un senso di protezione da sguardi indiscreti. 
Fu così che un giorno feci la conoscenza di quello che è diventato "il mio albero". Un acero giapponese. Le sue piccole foglie a cinque punte sono graziosissime.
Il mio albero fa parte di una famigliola di tre e lui, più in basso sulla sponda, si sporge sul fiume come a volerlo toccare. Sotto la sua ombra dolce tante volte mi sono fermata ad ascoltare il fiume che ripete all'infinito la sua cantilena: nulla rimane, tutto passa, tutto passa, tutto passa e va...

Sono passati infatti, più di due anni da quella primavera. In certi momenti mi ritrovo a sentire una struggente nostalgia di quei mesi silenziosi ma ricchi di nuovi pensieri, speranze, scoperte all'interno di me. 
La strana sospensione del tempo, le serate finalmente senza il sottofondo dei notiziari. Al loro posto le parole di Alessandro Manzoni! Il suo celebre romanzo letto dalla voce profonda dell'attore che leggeva sul canale culturale nazionale, condiva di meraviglia l'ora di cena. Riscoprire l'estetica del nostro idioma, la profondità di comprensione dell'animo umano, la bellezza dell'arte di uno dei nostri autori più celebri, spesso letto troppo presto per poter essere apprezzato e quindi relegato tra "i classici". E poi la musica. Musica registrata su audiocassette ancora incredibilmente sane dopo quarant'anni, riscoperta tra i miei cimeli statunitensi, sprizzava energia e ricordi di quello che mi è sempre parso l'anno più bello della mia vita. Ogni brano una storia di quell'anno lentissimo, infinito. Musica classica e musica per danzare in 45mtq come in una pista da ballo, come quella volta a Pasquetta, per la gioia di rivedere i vicini di ballatoio dopo un mese e mezzo. Mangiare insieme all'aperto nel sole di aprile è stata una vera grazia dal Cielo... 

Impensabile nostalgia di pace e gioia in uno dei periodi più orridi della storia umana.
Ci siamo salvati sulla nostra zattera d'amore. Ci siamo stretti più forte nella tempesta riparandoci con la nostra intimità ritrovata, confermata dal tempo, aggrappandoci all'ironia, ai sorrisi e agli abbracci, al canto dei merli, alle piccole cose buone di sempre, alle parole eterne dei Maestri e dei saggi. Ci siamo riparati con loro dall'inarrestabile marea di parole che ogni giorno tracimava dalla rete.  Dalla strada arrivavano le urla delle ambulanze e ogni volta lo sforzo per rimanere in equilibrio e non farsi trascinare dalla Grande Paura.

E i bambini, gioielli brillanti oltre lo schermo che separa. Tanto lavoro "a distanza", ma le ore scivolavano via veloci come quando si crea, e allora non è più lavoro ma tempo di qualità, vita vissuta nell'entusiasmo del trovare sempre nuove strade per stimolare curiosità ed entusiasmo nonostante la "reclusione" di quei piccoli angeli.

E la preghiera. Una preghiera senza religione, onnicomprensiva.
"Che questo almeno possa servire e tramutarsi in Bene"... ma ho capito, col senno di poi, che non era Causa ma Effetto. Alcuni lo chiamano Karma, effetto di infinite cause, infiniti affronti alla nostra Madre Terra e al nostro Padre Spirito.
E allora bisogna solo aspettare che passi la notte, e intanto sognare, immaginare e lottare per un nuovo mattino. 


Haiku 2020

Sussurra il fiume,

galleggia il fiore verso il mare.

Io con lui.

 



domenica 5 giugno 2022

Piccolo grande dramma a lieto fine


Bellinzago novarese 4 giugno 2022.

Oggi ho assistito ad un dramma a lieto fine. Un piccolo di merlo é caduto dal nido nel cortile del signor Enrico. Ancora incapace di volare aveva tentato un primo lancio verso terra di prima mattina.
La micia dei vicini, Tino e Grazia, era pronta per acchiapparlo ma entrambi i genitori hanno attaccato la micia con picchiate vertiginose che finivano a pochi millimetri dalla sua testa, finché ha pensato bene di andarsene.

Purtroppo il piccolino dalle zampe sproporzionatamente lunghe, ha tentato un balzo ma é solo riuscito ad infilarsi dentro il garage semiaperto del signor Enrico dove la micia avrebbe avuto facile accesso. 

Dalle 9 alle 15,30  i due genitori hanno continuato ininterrottamente a chiamare il piccolino per farlo uscire con veri e propri urli spaccatimpani e voli frenetici avanti e indietro dal nido nel sottotetto, al cortile del signor Enrico.

Finalmente verso le 16 il piccolo esce... Io, Gianni, Emilio e il signor Enrico cerchiamo di capire come fare per prenderlo finché, esasperato, Emilio chiama sua moglie che si rivela esperta di uccellini caduti. Arriva poco dopo armata di guanti di plastica, e con mosse sicure e tranquille lo prende senza sforzo o impaccio e lo porta nel giardino dell'anziano signor Roberto che abita di fronte.

Due secondi dopo i due genitori arrivano dal figlioletto spaventato... lieto fine.

Emilio dice che a quel punto gli porteranno cibo per terra e gli insegneranno a beccare a terra finché fra qualche giorno sarà in grado di volare. Se si tenta di raccogliere i piccoli e li si lancia per farli volare, il più delle volte si vanno a schiantare su qualche ostacolo e muoiono sul colpo.

Quasi tutti ignoriamo il vivere di queste creature che ci circondano numerose anche in città. Il nostro pensiero antropocentrico è, da un certo punto di vista, piuttosto ridicolo: il "capolavoro della natura" sta mettendo a rischio la vita su questo pianeta, l'unica Casa che abbiamo, l'unico pianeta con forme di vita nel raggio di qualche migliaio di anni luce.