giovedì 13 agosto 2020

                                                        RICORDO INDIANO - AGOSTO 1987 

           7° parte - Pushkar 


                            Che brutta invenzione il turismo! Una delle industrie più malefiche. 
Ha ridotto il mondo a un'enorme giardino d'infanzia, a una Disneyland senza confini.
Tiziano Terzani, "Un indovino mi disse"





Una donna sta lavando i panni al lago. La osservo nei suoi movimenti precisi e senza fretta.
E' bellissima. La sua bambina gioca per terra lì vicino, sui gradoni. La controlla con la coda dell'occhio senza parlare. Quando ha finito, prende in braccio la bimba, si copre il viso col velo giallo e sta per raccogliere i panni. Si accorge di me con la mia stupida macchina fotografica e si apre in un sorriso che mostra una chiostra di denti perfetti. Le faccio segno di mostrare il volto ma lei scosta il velo solo a metà come se la sua bellezza fosse un tesoro da proteggere.

I sei giorni a Pushkar, che dovevano essere tre, sono finiti. La sera mi assale la malinconia e cerco di imprimere nella mente ogni immagine, ma tutto turbina nel vortice del tempo che tutto inghiotte e trasforma. Ineluttabile destino della materia. 
Pushkar è una città antichissima, una delle più antiche città dell'India. La data di fondazione è sconosciuta. Penso alle genti che hanno vissuto qui nei secoli, che hanno visto altre trasformazioni e hanno sentito malinconia per altri ricordi.

Come sarà stata questa città prima del colonialismo inglese? Sicuramente più ricca. Il colonialismo ha snaturato completamente l'economia indiana. Ma quante volte avrà cambiato il suo aspetto e le sue genti, i suoi costumi, la religione...
Prima degli inglesi vennero i Moghul nel XV e XVI secolo, e prima ancora i musulmani dal IX secolo in poi, e prima i misteriosi Gupta, prima di Cristo il grande imperatore Asoka diffuse il buddhismo cercando di limitare la violenza, prima ancora i Persiani e poi i Greci di Alessandro Magno, ancora indietro la civiltà dell'Indo, e ancora prima la civiltà vedica, e prima... le prime genti Dravidiche non ariane e i Munda.

Tutta questa umanità ha lasciato qualcosa di sé e gli strati in India si avvertono ancora tutti.
L'attrazione fatale che esercita forse dipende proprio da questo suo densissimo passato che qui sembra ancora sopravvivere nelle pietre, nei misteriosi tempietti umidi e bui dedicati a Shiva, il dio più venerato e potente, il Signore della Vita e della Morte.





Prima di lasciare Pushkar e il Rajastan, la "terra dei re" mi costringo a scattare qualche foto per immortalare soprattutto gli anziani che sembrano usciti da un libro di favole orientali.
Quando però mi trovo davanti un Naga Baba, un sadhu asceta shivaita con solo un triangolo sul pube, coperto di cenere bianca e con i capelli mai tagliati raccolti in enormi dread e in mano il tridente, uno dei simboli del dio, non ho osato fotografarlo. Scendeva con calma i gradini schivando i cani che dormivano all'ombra con il suo incedere regale; visione di un altro mondo.




Durante uno dei nostri giri in una parte non molto abitata del paese, veniamo colti da un improvviso scroscio di pioggia. Ci sistemiamo sotto una tettoia in attesa che passi. Ma il monsone non sembra aver voglia di smettere, anzi l'acqua comincia a venir giù di stravento bagnandoci sempre di più. A mala pena vediamo dall'altra parte della strada, tanto piove fitto. Ad un certo punto arriva una grande auto e si ferma in mezzo alla carreggiata. Dopo qualche istante vediamo che il finestrino si abbassa e spunta una mano che fa segno di avvicinarsi: Come inside, come inside! ci urla l'uomo al posto di guida. Ci guardiamo stupiti. La nostra mente occidentale si interroga: cosa vorrà da noi? Quale inganno o fregatura nasconde? Senza parlarci corriamo verso l'auto, la portiera posteriore si apre per farci salire. L'auto è letteralmente piena di bambini vivaci, quattro, forse cinque, davanti il padre, la madre con un neonato in braccio. Si scostano per farci posto, ridono e parlano in continuazione, fanno a gara per donarci tutti qualche cosa, un braccialetto, una matita, un dolcino... Frughiamo nello zainetto e nelle tasche in cerca di qualcosa per ricambiare, per lasciare una traccia di noi, un ricordo di questo incontro gioioso e inaspettato. Siamo imbarazzati e commossi, cosa abbiamo fatto per meritare tutte queste feste? Non c'è bisogno di alcun merito, la gioia dell'accoglienza non ha bisogno di alcun motivo, è pura come è puro il sorriso e la generosità di questi bimbi e dei loro genitori. Un gesto così spontaneo e naturale come dare riparo a due passanti inzuppati, da noi è ormai una stranezza, un evento raro, quasi impossibile. Il monsone smette quasi all'improvviso lasciando l'aria fresca. L'auto si allontana mentre tante manine e testoline fanno ciao sporgendosi dai finestrini.
Rimaniamo muti a guardarla finché sparisce dalla nostra vista.



CONTINUA CON LA 8° PARTE:

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