RICORDO INDIANO - AGOSTO 1987
11° parte - Manali
Il viaggio pare infinito. Siamo pigiati come sardine nei nostri sedili, ma almeno non patiamo il caldo. Lungo il percorso ci sono infinite fermate, alcune presso improvvisati baracchini di cibo e chai. Approfittiamo ogni volta per sgranchirci le gambe rattrappite. Il vecchio autobus Tata ha continuato ad arrancare tutto il giorno su per i sentieri scoscesi. Tre marce solamente, tanto quassù a che serve la quarta? I bagagli sono stipati anche sul tetto insieme a qualche passeggero che non ha trovato sedili liberi. Cerco di rilassarmi osservando il panorama senza guardare gli strapiombi e ogni tanto le carcasse dei bus rovesciati.
Arriviamo nel punto più alto, Rohtang Pass, 3978 metri*. L'aria è fredda e c'è un po' di vento, neanche un albero, solo prati fioriti. Il bus si ferma, scendiamo e a me viene una gran voglia di correre nel prato ma dopo pochi passi mi devo fermare. Non ho calcolato l'altitudine, il fiato è cortissimo, le gambe di cemento... è la prima volta nella vita che sono così in alto in montagna e... sarà pure l'ultima. Unico essere umano lassù: un pastore avvolto in una coperta, col suo cane e il suo gregge.
Finalmente arriviamo, e mentre mi carico lo zaino sulla schiena, riempio i polmoni di aria tiepida, pulita e profumata. Mi basta quella a far dimenticare la fatica del viaggio. L'albergo in cui ci sistemiamo costa poco ma incredibilmente pulito, con tutti i confort. Sui letti troviamo persino piumini d'oca e in bagno l'acqua calda. Il proprietario è un ragazzo allegro, sembra un folletto. Siamo eccitati e felici...
Usciamo a far quattro passi e a mangiare qualcosa. E' tutto diverso, non ci sembra più di essere in India. Notiamo moltissimi rifugiati tibetani. In effetti Dharamsala, dove il Dalai Lama risiede dal 1960, è a 220 chilometri. Nelle botteghe si vendono cose molto diverse. Anche il cibo è diverso e siamo curiosi di assaggiarlo. Entriamo in una minuscola bottega-ristorante, con due tavolini, da dove arriva un buon profumo. La signora tibetana ci sorride, sul bancone c'è un'enorme matassa di spaghetti spessi e gialli, e sul fuoco è pronto un grande pentolone di acqua bollente. Rimaniamo a guardare affascinati mentre lei ci chiede se preferiamo i nuddles, gli spaghettoni, o i momo, grossi ravioli ripieni simili a quelli cinesi. Chiedo cosa c'è dentro i momo e lei risponde allegramente mutton of course! Carne di montone, come se fosse scontato. E vada per la carne di montone mai assaggiata! E' anche la prima volta che mangiamo carne qui in India.
Ci spiegano dove sono le terme, ci rechiamo là e ci immergiamo nell'acqua calda. Lì vicino c'è un ritrovo di baba e altri che fumano. Mi incuriosiscono, li trovo folkloristici. Non c'è nulla di sacro nel loro atteggiamento, vivono così, fumando e donando perle di saggezza a chi li interpella. E così fa anche il nostro amico che ci intrattiene con disquisizioni spirituali su come la danza di Shiva sostenga il pianeta.
** Boom Shankar! Invocazione al dio Shiva (Shankar): deriva proprio dall'uso del chillum e dal rito praticato dai santoni che, innalzandolo sulla fronte prima di accenderlo, invocano Shiva e gli altri dei affinché giungano a loro per condividere l'hashish.
CONTINUA CON LA 12° PARTE:
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