giovedì 30 dicembre 2021

 Natale con Vincent




Acini d'uva i tuoi occhi verdi, parlano silenziosi
Calore animale scioglie il pensiero agitato
Morbida vibrazione si spande come mantra
Breve parentesi di gioia in questo tempo sospeso.

Sei folletto di pelo con nome d'artista
Vegli su di me col tuo sonno tranquillo
Sembra tu sogni prati profumati di bosco e risa di bimbi...

Seguendo invisibili tracce di luce
al mio cuore pesante hai messo le ali.
Un attimo del tuo paradiso senza tempo
hanno visto i miei occhi dentro ai tuoi.

L'umano cielo di piombo hai dissolto,
un regalo dorato per me in questo giorno santo.






domenica 26 dicembre 2021

 

«Sì, Virginia, Babbo Natale esiste»

La storia di un editoriale del 21 settembre 1897 su Babbo Natale 

che da allora è un pezzo dei natali americani.





La lettera di Virginia
Nel 1897 il dottor Philip O’Hanlon di Manhattan si sentì domandare dalla sua bambina di otto anni Virginia se Babbo Natale esistesse davvero. Virginia aveva cominciato a dubitarne per quello che le avevano detto degli altri bambini.

Suo padre le suggerì di scrivere al New York Sun, un importante quotidiano del tempo di orientamento conservatore, assicurandole che “se lo dice il Sun, allora è vero”. Uno dei direttori del giornale, Francis Pharcellus Church, che era stato corrispondente di guerra durante la Guerra Civile, scrisse una risposta che oggi, più di un secolo dopo, resta l’editoriale più riprodotto nella storia dei giornali anglosassoni.

La lettera di Virginia diceva:

Caro direttore, ho otto anni. Alcuni dei miei amici dicono che Babbo Natale non esiste. Mio papà mi ha detto: “se lo vedi scritto sul Sun, sarà vero”. La prego di dirmi la verità: esiste Babbo Natale? Virginia O’Hanlon.

Il direttore del Sun Edward P. Mitchell passò la lettera della bambina, perché rispondesse, a Church, uno dei veterani del giornale. Leggendola, si dice, sbuffò e sembrò arrabbiarsi perché gli era stato assegnato un compito di così poco conto. Poi, in meno di cinquecento parole e finendo prima della scadenza, Church le rispose così, in un editoriale non firmato:

Virginia, i tuoi amici si sbagliano. Sono stati contagiati dallo scetticismo tipico di questa era piena di scettici. Non credono a nulla se non a quello che vedono. Credono che niente possa esistere se non è comprensibile alle loro piccole menti. Tutte le menti, Virginia, sia degli uomini che dei bambini, sono piccole. In questo nostro grande universo, l’uomo ha l’intelletto di un semplice insetto, di una formica, se lo paragoniamo al mondo senza confini che lo circonda e se lo misuriamo dall’intelligenza che dimostra nel cercare di afferrare la verità e la conoscenza.

Sì, Virginia, Babbo Natale esiste. Esiste così come esistono l’amore, la generosità e la devozione, e tu sai che abbondano per dare alla tua vita bellezza e gioia. Cielo, come sarebbe triste il mondo se Babbo Natale non esistesse! Sarebbe triste anche se non esistessero delle Virginie. Non ci sarebbe nessuna fede infantile, né poesia, né romanticismo a rendere sopportabile la nostra esistenza. Non avremmo altra gioia se non quella dei sensi e dalla vista. La luce eterna con cui l’infanzia riempie il mondo si spegnerebbe.

Non credere in Babbo Natale! È come non credere alle fate! Puoi anche chiedere a tuo padre che mandi delle persone a tenere d’occhio tutti i comignoli del mondo per vederlo, ma se anche nessuno lo vedesse venire giù, che cosa avrebbero provato? Nessuno vede Babbo Natale, ma non significa che non esista. Le cose più vere del mondo sono proprio quelle che né i bimbi né i grandi riescono a vedere. Hai mai visto le fate ballare sul prato? Naturalmente no, ma questa non è la prova che non siano veramente lì. Nessuno può concepire o immaginare tutte le meraviglie del mondo che non si possono vedere.

Puoi rompere a metà il sonaglio dei bebé e vedere da dove viene il suo rumore, ma esiste un velo che ricopre il mondo invisibile che nemmeno l’uomo più forte, nemmeno la forza di tutti gli uomini più forti del mondo, potrebbe strappare. Solo la fede, la poesia, l’amore possono spostare quella tenda e mostrare la bellezza e la meraviglia che nasconde. Ma è tutto vero? Ah, Virginia, in tutto il mondo non esiste nient’altro di più vero e durevole. Nessun Babbo Natale? Grazie a Dio lui è vivo e vivrà per sempre. Anche tra mille anni, Virginia, dieci volte diecimila anni da ora, continuerà a far felici i cuori dei bambini.

La fortuna
La fama di “Yes, Virginia” è sopravvissuta ai suoi creatori. Church morì nel 1906 e Virginia nel 1971, dopo una carriera come maestra di scuola e direttrice a New York. Malgrado l’editoriale fosse pubblicato come settimo nella pagina delle opinioni – dopo ben più seri argomenti come questioni politiche a New York e nel Connecticut, la forza della marina britannica e una ferrovia tra il Canada e lo Yukon, e persino dopo un commento sulla “bicicletta senza catena” appena inventata – lo scambio colpì moltissimi lettori del Sun. Venne ristampato ogni anno, prima di Natale, fino alla chiusura del giornale nel 1950, e ancora oggi viene recitato alla Columbia University di New York (l’università dove studiarono sia Church che Virginia) in una cerimonia prenatalizia ai primi di dicembre. Nel centenario dell’editoriale, nel 1997, il New York Times pubblicò una riflessione sulla fortuna di “Yes, Virginia, There is a Santa Claus” nella cultura americana.

(Tratto da ilpost.it)


sabato 13 novembre 2021

Un bambino 




Un bambino risponde «grazie» perché ha sentito che è il tuo modo di replicare a una gentilezza, non perché gli insegni a dirlo.

Un bambino si muove sicuro nello spazio quando è consapevole che tu non lo trattieni, ma che sei lì nel caso lui abbia bisogno di te.

Un bambino quando si fa male piange molto di più se percepisce la tua paura.

Un bambino è un essere pensante, pieno di dignità, di orgoglio, di desiderio di autonomia, non sostituirti a lui, ricorda che la sua implicita richiesta è «aiutami a fare da solo».

Quando un bambino cade correndo e tu gli avevi appena detto di muoversi piano su quel terreno scivoloso, ha comunque bisogno di essere abbracciato e rassicurato; punirlo è un gesto crudele, purtroppo sono molte le madri che infieriscono in quei momenti. Avrai modo più tardi di spiegargli l’importanza del darti ascolto, soprattutto in situazioni che possono diventare pericolose. Lui capirà.

Un bambino non apre un libro perché riceve un’imposizione (quello è il modo più efficace per fargli detestare la letteratura), ma perché è spinto dalla curiosità di capire cosa ci sia di tanto meraviglioso nell’oggetto che voi tenete sempre in mano con quell’aria soddisfatta.

Un bambino crede nelle fate se ci credi anche tu.

Un bambino ha fiducia nell’amore quando cresce in un esempio di amore, anche se la coppia con cui vive non è quella dei suoi genitori. L’ipocrisia dello stare insieme per i figli alleva esseri umani terrorizzati dai sentimenti.

«Non sono nervosa, sei tu che mi rendi così» è una frase da non dire mai.

Un bambino sempre attivo è nella maggior parte dei casi un bambino pieno di energia che deve trovare uno sfogo, non è un paziente da curare con dei farmaci; provate a portarlo il più possibile nella natura.

Un bambino troppo pulito non è un bambino felice. La terra, il fango, la sabbia, le pozzanghere, gli animali, la neve, sono tutti elementi con cui lui vuole e deve entrare in contatto.

Un bambino che si veste da solo abbinando il rosso, l’azzurro e il giallo, non è malvestito ma è un bambino che sceglie secondo i propri gusti.

Un bambino pone sempre tante domande, ricorda che le tue parole sono importanti; meglio un «questo non lo so» se davvero non sai rispondere; quando ti arrampichi sugli specchi lui lo capisce e ti trova anche un po’ ridicola.

Inutile indossare un sorriso sul volto per celare la malinconia, il bambino percepisce il dolore, lo legge, attraverso la sua lente sensibile, nella luce velata dei tuoi occhi. Quando gli arrivano segnali contrastanti, resta confuso, spaventato, spiegagli perché sei triste, lui è dalla tua parte.

Un bambino merita sempre la verità, anche quando è difficile, vale la pena trovare il modo giusto per raccontare con delicatezza quello che accade utilizzando un linguaggio che lui possa comprendere.

Quando la vita è complicata, il bambino lo percepisce, e ha un gran bisogno di sentirsi dire che non è colpa sua.

Il bambino adora la confidenza, ma vuole una madre non un’amica.

Un bambino è il più potente miracolo che possiamo ricevere in dono, onoriamolo con cura.

(Giorgio Gaber)

mercoledì 29 settembre 2021

 

Preghiera a San Michele Arcangelo


San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia:
sii tu nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo.
Che Dio eserciti il suo dominio su di lui, te ne preghiamo supplichevoli.
E tu, o principe della milizia celeste, con la potenza divina, ricaccia nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni i quali errano nel mondo per perdere le anime.
Amen.




Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Gloriosissimo Principe della Milizia Celeste, Arcangelo San Michele, difendeteci in questa ardente battaglia contro tutte le potenze delle tenebre e la loro spirituale malizia.
Venite in soccorso degli uomini creati da Dio a sua immagine e somiglianza e riscattati a gran prezzo dalla tirannia del demonio. Combattete oggi le battaglie del Signore con tutta l'armata degli Angeli beati, come già avete combattuto contro il principe dell'orgoglio Lucifero ed i suoi angeli apostati; e questi ultimi non potettero trionfare e ormai non v'è più posto per essi nei cieli.
Ma è caduto questo grande dragone, questo antico serpente che si chiama lo spirito del mondo, che tende trappole a tutti. Sì, è caduto sulla terra ed i suoi angeli sono stati respinti con lui.
Ora ecco che, questo antico nemico, questo vecchio omicida, si erge di nuovo con una rinnovata rabbia. Trasfiguratosi in angelo di luce, egli nascostamente invase e circuì la terra con tutta l'orda degli spiriti maligni, per distruggere in essa il nome di Dio e del suo Cristo e per manovrare e rubarvi le anime destinate alla corona della gloria eterna, per trascinarle nell'eterna morte.
Il veleno delle sue perversioni, come un immenso fiume d'immondizia, cola da questo dragone malefico e si trasfonde in uomini di mente e spirito depravato e dal cuore corrotto; egli versa su di loro il suo spirito di menzogna, di empietà e di bestemmia ed invia loro il mortifero alito di lussuria, di tutti i vizi e di tutte le iniquità.
La Chiesa, questa Sposa dell'Agnello Immacolato, è ubriacata da nemici scaltrissimi che la colmano di amarezze e che posano le loro sacrileghe mani su tutte le sue cose più desiderabili. Laddove c'è la sede del beatissimo Pietro posta a cattedra di verità per illuminare i popoli, lì hanno stabilito il trono abominevole della loro empietà, affinché colpendo il pastore, si disperda il gregge.
Pertanto, o mai sconfitto Duce, venite incontro al popolo di Dio contro questa irruzione di perversità spirituali e sconfiggetele. Voi siete venerato dalla Santa Chiesa quale suo custode e patrono; voi, glorioso difensore contro le nefaste potestà terrene e infernali;
a Voi il Signore ha affidato le anime che un giorno occuperanno le sedi celesti.
Pregate, dunque, il Dio della pace a tenere schiacciato satana sotto i nostri piedi, affinché non possa continuare a tenere schiavi gli uomini e a danneggiare la Chiesa.
Presentate all'Altissimo, con le Vostre, le nostre preghiere, perché scendano presto su di noi le Sue Divine Misericordie e Voi possiate incatenare il dragone, il serpente antico satana ed incatenarlo negli abissi. Solo così non sedurrà più le anime.



Oggi è il giorno di San Michele.
Ed è un giorno perfetto.
Per compiere uno dei riti più potenti di sempre.
E' il momento di piantare i nostri bulbi interiori. Piantando quelli esteriori.
Il mondo dei bulbi è un mondo affascinante.
La loro piantagione detta regole importanti alla nostra anima.
Avviene un dialogo magico. Silenzioso, lento, profondo.
I bulbi sono da sotterrare in questo periodo. Per poter fiorire in primavera.
Resteranno in fiduciosa attesa interrati per tutto il periodo freddo.
Intanto metteranno radici, si ancoreranno bene bene alla terra, useranno la neve come scudo per il freddo, si nutriranno di buio.
Saranno ben nascosti, isolati, silenziosi.
Nessun lamento. Per il freddo, per il buio, per il lungo tempo in solitudine, per la pazienza dell'attesa.
Lo sanno che tutto ciò è necessario alla fioritura.
E' questo il momento di scegliere i nostri bulbi interiori. Di curarli, di posizionarli, di pensarli. Di donarli alla nostra profondità e di lasciarli lì. Avendo fiducia di vederli sbocciare al momento giusto.
Senza nessun'altra azione umana.
Solo pensandoli, per tutto l'autunno e l'inverno.
E poi come magia potremo assistere alla trasformazione dei nostri bulbi in coloratissimi tulipani, iris, narcisi e splendidi gigli.
Anche noi siamo chiamati a divenire bulbi.
A mettere le mani nel freddo, nell'oscurità, nell'umidità di noi stessi.
E a rimanerci. Senza ragionamenti.
Proprio lì troveremo l'insegnamento più importante.
I meravigliosi colori dei bulbi nascono nel buio. Non nella luce.


Per l’era di Michele

Dobbiamo sradicare dall’anima
tutta la paura e il timore
di ciò che il futuro può portare all’uomo.

Dobbiamo acquisire serenità
in tutti i sentimenti e le sensazioni
rispetto al futuro.

Dobbiamo guardare in avanti
con assoluta equanimità verso tutto ciò che può venire
e dobbiamo pensare che tutto quello che verrà
ci sarà dato da una direzione del mondo
piena di sapienza.

E' questo che dobbiamo imparare in questa era:
a saper vivere in assoluta fiducia, senza alcuna sicurezza nell’esistenza;
a saper vivere nella fiducia
nell’aiuto sempre presente del mondo spirituale.

In verità nulla avrà valore altrimenti.
Discipliniamo la nostra volontà
e cerchiamo il risveglio interiore
tutte le mattine e le sere.

O Michele, io mi raccomando alla tua guida con tutta la forza del cuore,
così che questo giorno possa diventare l'immagine della tua volontà di porre ordine neldestino.

(Parole di Rudolf Steiner, da appunti di un diretto discepolo: F.W. Zeylmans van Emichoven)





mercoledì 15 settembre 2021

 Luna velata



Stasera la luna, sebben velata, splende a ponente.
Il cielo ombroso nulla a che far con nostra minorità.
Il cielo, e sole in cielo abiurano l’umani.
Ma noi siamo cielo nella onesta morale...
che sia il nostro cielo colore o ombra
disseminata sulla terra.
E la terra è del cielo ove tutto s’annida.
Il cielo è forza, colore e preghiera.
Sì che siam caduchi ma cadere in forza diviene spirito.
Nostra casa e nostra dimora.

La luna è ora velata a Ponente ma il ciclo la rivela piena a Oriente.
Se noi non vediamo Oriente fa che altri vivano in pulito cielo.
Siamo nulla e siamo il cielo.

(Gianni Colombo)


lunedì 16 agosto 2021

 Sufi


La vera religione è, per un Sufi, il mare della verità, 
e tutte le diverse fedi sono le sue onde. 

(Inayat Khan)




Un bimbo, o una bimba, ripete come un mantra il nome del santo andando su e giù sull'altalena.

Da questa visione prende lo spunto un magnifico brano Mustt Mustt  del musicista pakistano Nusrat Fateh Ali Khan:  

https://www.youtube.com/watch?v=4RlvDlI0EXo&ab_channel=RealWorldRecords

Il tema centrale del qawwali* è l'amore e lo struggimento per la lontananza da Dio.




Nusrat Fateh Ali Khan (1948-1997)


* Il qawwali è la musica sacra dei sufi Cishtiyya del sub continente indiano, la corrente Cishtiyya nacque nella zona dell'attuale Afghanistan. Risalendo a più di 700 anni fa. Il qawwali è ancora una tradizione musicale molto viva


giovedì 12 agosto 2021

                                           RICORDO INDIANO - AGOSTO 1987 

     13° e ultima parte - Parvati Valley, Delhi e ritorno in Italia




La Parvati Valley è una meraviglia assoluta. Facciamo amicizia con due ragazze francesi di Rouen che sono ospiti del nostro stesso albergo. Sono molto simpatiche e gioiose, visitiamo insieme questa valle paradisiaca e di nuovo la Manali Valley il giorno dopo. Purtroppo devono partire prima di noi perché hanno qualcosa da fare a Delhi, ci scambiamo gli indirizzi e, nell'attesa del bus, chiacchieriamo e ridiamo con il ragazzo dell'albergo che continua a far battute a raffica. Il nostro bus parte nel tardo pomeriggio. Ci aspettano dodici ore di viaggio e una notte non proprio comoda. Questo si rivela una sorta di sogno in stato ipnagocico mentre corriamo in discesa senza che noi possiamo vedere gran che dalla nostra posizione. 

Tutto è immerso nel buio. Il motore urla e tossisce ad ogni cambio di marcia. In basso un tappeto di stelle... sono le lucine delle case sparse nelle valli sotto di noi. Tutto si confonde. Mi affido... affido il bus e tutti i suoi passeggeri al dio Shiva, che ci sostenga in questa folle corsa che forse non è poi così veloce ma a me pare una caduta libera nell'abisso.





Intorno a me solo indiani. Alcuni assopiti, altri con gli occhi aperti e impenetrabili. Non conoscono ansia, non si pongono dubbi, si affidano al dio perché sanno che tanto non c'è altro da fare. Chiudo gli occhi. Cerco di fare lo stesso. L'ansia che è nella pancia e la paura che si è impadronita della mia mente, pian piano lasciano la presa. Respiro profondo. Affidarsi al destino, alla volontà del Padre, al divino e al Suo Piano fa scendere la pace nel cuore e alla fine mi assopisco in un dormiveglia quasi piacevole nonostante lo sballottamento.

Siamo seduti in quattro su posti da tre. Massimo è rannicchiato e sembra in meditazione profonda da due ore. Il bus si ferma ogni tanto presso dei baracchini che vengono chai e cibo, io mi precipito giù ogni volta per sgranchirmi ma lui non vuole scendere, sembra annichilito e rimane abbracciato alle sue gambe come se volessero portargliele via.

Finalmente all'alba arriviamo a Delhi e la stazione dei bus è allagata dalla pioggia monsonica venuta giù a cataratte. Ci togliamo le scarpe e camminiamo alla cieca nell'acqua nera sul pavimento liscio. A postumi, anni dopo, ripensandoci, ho pensato al rischio corso, avrei potuto tagliarmi e infettarmi facilmente. Il pensiero non mi aveva sfiorato allora così come non mi hanno sfiorato mille altri pensieri che la “ragione” della maturità mi avrebbe suggerito. Non ero imprudente, anzi, ho persino passato i primi giorni a lavarmi i denti con acqua minerale, ho evitato accuratamente il ghiaccio, i succhi di canna da zucchero (infatti non so che sapore abbia), la frutta offerta per strada e l'acqua delle fontane, per terrore dell'ameba ma la paura non mi lasciava. Poi dopo dieci giorni sono diventata come gli indiani: fatalista e rilassata. La tipica ansia occidentale ha lasciato il posto ad una sorta di felice rassegnazione al dio di tutte le cose e di tutti gli esseri senzienti. Sicura di aver fatto tutto il possibile ho lasciato a lui la responsabilità e così la Gioia mi è entrata nel cuore e non mi ha più lasciata fino al ritorno.







Ma non è così che si dovrebbe vivere sempre? Non è così che si viveva anticamente? Cosa cambia se anche dopo aver preso ogni precauzione ci preoccupiamo al punto da temere ogni passo, ogni cibo sconosciuto, ogni eventuale imprevisto? Nulla. Non cambia assolutamente nulla. La Vita è un'avventura, un romanzo dal finale a sorpresa. Gli oracoli tentano di prevedere, ma anche dopo il loro responso si ha la sensazione che sia tutto inutile e che l'ineluttabile possa comunque sorprenderci.

Ecco, il ritorno a Delhi è stato molto strano. Nessun bimbo ci chiedeva l'elemosina, nessun mendicante allungava pietosamente la mano, mischiati alla massa colorata di indiani in strada eravamo diventati invisibili. I nostri vestiti erano ormai uguali ai loro e anche se la pelle rivelava la nostra origine nessuno più ci considerava “turisti”. I turisti, questa specie umana spuntata meno di due secoli fa*, è una buffa e imbarazzante orda che invade ogni luogo del pianeta scambiandolo per uno zoo safari. Con sguardo interessato e curioso fotografiamo tutto e tutti per avere un “ricordo-trofeo” da mostrare a parenti e amici. Alla fine di questo viaggio quando incontravamo dei "turisti" mi sentivo in imbarazzo per loro e per noi. Specialmente i grupponi intorno alle attrazioni cittadine, le bandierine ridicole delle guide, le loro risate sguaiate, mi facevano sentire profonda vergogna per il genere Homo Sapiens Sapiens al quale appartengo. L'India mi ha tolto un po' dei veli che avevo davanti agli occhi. 

Siamo arrivati anche noi da turisti, inconsapevoli di cosa ci aspettava, e l'India ci ha trasformato in viaggiatori. Dopo tanta fatica e tanti sorrisi, lo sguardo si addolcisce, perde quella voglia di indagare, quell'impertinente scrutare e la sensazione di essere della stessa famiglia penetra in noi con l'aria. Le incomprensibili cantilene dei baba diventano musica familiare, il sudore prende l'odore delle spezie e lentamente i colori spenti degli abiti portati da casa diventano inguardabili e scomodi.

Ma un'altra sorpresa ci aspetta a Delhi. Nell'hotel che abbiamo scelto nel vecchio quartiere di Paharganj sono alloggiate anche le due ragazze francesi di Rouen! Se ci fossimo messi d'accordo sarebbe stato più difficile! Ci abbracciamo felici di esserci ritrovati e come bambini improvvisiamo una specie di girotondo. Durante il viaggio in questo subcontinente immenso, ho anche incontrato una persona che abitava nella mia stessa via... 

Ceniamo in un elegante ristorante musulmano, il primo e l'ultimo del viaggio. Spendiamo così gli ultimi soldi. I gusti sono simili a quelli assaporati durante questi quaranta giorni ma incredibilmente più raffinati. I profumi delicati delle spezie si fondono con armonia sapiente stimolando l'appetito senza aggredire il palato. Tutto è perfetto, i camerieri affabili e la musica a basso volume contribuisce a rendere struggente questa ultima sera.

Il giorno dopo, all'aeroporto, indosso il mio punjabi rosa e i sandali bordoux. Sono eccitata per la partenza e la paura del volo in aereo ancora non mi attanaglia. C'è un problema: Massimo si accorge di non aver conservato i soldi per la tassa di imbarco. Provvedo io. Mio padre mi ha insegnato che non è mai saggio rimanere completamente senza soldi in tasca, qualcosa per le emergenze bisogna tenerlo.

"Buonasera, è il comandante che vi parla: c'è una perturbazione sull'oceano indiano, cercheremo di passarle sopra". Vorrei fuggire! E invece partiamo, e miracolosamente, non so come, forse per la stanchezza, mi assopisco per un quarto d'ora. Apro gli occhi e chiedo a Massimo: "E la perturbazione?" - "Siamo già molto oltre". Miracolo. Prima ed ultima volta che mi sono addormentata su di un aereo...

A Caselle ci aspettano mio padre Edoardo e mia madre Gemma, felici di rivederci e io eccitatissima per tutto quello che non vedo l'ora di raccontare, soprattutto a mio padre.

Due giorni dopo una tristezza infinita si impadronisce del mio cuore. Torino di fine agosto mi appare di uno squallore insopportabile. Non so spiegare cosa esattamente mi fa stare così male nella mia città. Provo ad analizzare, a fare paragoni ma non riesco ad individuare qualcosa di preciso. La nostalgia, sottile come una lama, mi trapassa il cuore. Mi manca tutto dell'India: gli occhi e i sorrisi dei bambini, gli odori, i colori, l'incenso dei templi, le voci e anche i clacson, il traffico scomposto, persino lo sporco per strada mi manca, forse perché qui è tutto troppo prevedibile, ordinato, controllato, artificiale. Per certi versi l'India è come eravamo noi forse 100, 200, 300 anni fa. La terribile nostalgia rimane con me fino all'autunno. Per due settimane continuo a vestirmi con indumenti indiani e mangio riso al curry. Non riesco a riadattarmi. Il culture shock (= shock culturale) è troppo forte. Come sette anni prima al ritorno dopo un anno nel Wisconsin (U.S.A.), dove con i miei amici vivevo libera in campagna vicino alla foresta. Eravamo tutti hippies senza saperlo. Sono ancora hippy nell'anima, lo rimarrò sempre al di là dell'abito, perché la civiltà dei consumi e la cultura di massa uccidono l'anima e io alla mia anima ci tengo, mi parla ancora e io la ascolto.





Il grande Tiziano Terzani ha espresso perfettamente questo sentimento nel suo meraviglioso libro Un altro giro di giostra. Esprime magistralmente quello che ho sentito e che sento ancora e che ho umilmente cercato di raccontare in questo modesto racconto.

"Chi ama l'India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. E' sporca, è povera, è infetta; a volte è ladra e bugiarda, spesso maleodorante, corrotta, impietosa e indifferente. Eppure, una volta incontrata non se ne può fare a meno. Si soffre a starne lontani. Ma così è l'amore: istintivo, inspiegabile, disinteressato.
Innamorati, non si sente ragione; non si ha paura di nulla; si è disposti a tutto. Innamorati, ci si sente inebriati di libertà; si ha l'impressione di poter abbracciare il mondo intero e ci pare che l'intero mondo ci abbracci. L'India, a meno di odiarla al primo impatto, induce presto questa esaltazione: fa sentire ognuno parte del creato. In India non ci si sente mai soli, mai completamente separati dal resto. E qui sta il suo fascino.
Alcuni millenni fa i suoi saggi, i Riishi, "coloro che vedono", ebbero l'intuizione che la vita è una, e questa esperienza, rinnovata religiosamente di generazione in generazione, è il nocciolo del grande contributo dell'India all'incivilimento dell'uomo e allo sviluppo della sua coscienza. Ogni vita, la mia e quella di un albero, è parte di un tutto dalle mille forme che è la vita.
(...) In India si è diversi che altrove. Si provano altre emozioni. In India si pensano altri pensieri. Forse perché in India il tempo non è sentito come una linea retta, ma circolare, passato, presente e futuro non hanno qui il valore che hanno da noi; qui il progresso non è il fine delle azioni umane, visto che tutto si ripete e che l'avanzare è considerato una pura illusione.
Forse perché qui la realtà percepita dai sensi non è generalmente presa per vera, non è la "Realtà Ultima", l'India infonde, anche in chi non crede in tutto questo, uno stato d'animo di distacco che rende il paese così particolare e la sua realtà, a volte proprio orribile, in fondo accettabile. Accettabile perché così è la vita: è tutto e il contrario di tutto, è stupenda e crudele. Perché la vita è anche la morte, e perché non c'è piacere senza dolore, non c'è felicità senza sofferenza.
In nessun altro posto al mondo la contrapposizione degli opposti - bellezza e mostruosità, ricchezza e povertà - è così drammatica, così sfacciata come in India. Ma è stata proprio questa visione dell'inevitabile dualità dell'esistenza che spinse i Riishi a cercarne il significato recondito, che ancora oggi sembra agire come un catalizzatore spirituale in chi ci si avventura.
Basta metterci piede, in India, per provare questo mutamento. Innanzitutto ci si sente più in pace. Con se stessi e col mondo. (...)
«L'India è una esperienza che ti accorcia la vita», mi disse Dieter Ludwig il giorno in cui, anni fa, arrivai a Delhi per piantarci definitivamente le mie tende. Poi aggiunse: «Ma è anche un'esperienza che dà senso alla vita ».
In India niente può essere dato per scontato (...) ma in India ci si adatta, si accetta, e presto si entra in quella logica per cui niente è davvero drammatico, niente è terribilmente importante. In fondo tutto è già avvenuto in maniera simile tante altre volte prima e si sa che avverrà infinite volte dopo. L’India resta se stessa, e a suo modo questo è acquetante.
L’India ti fa sentire semplicemente umano, naturalmente mortale; ti fa capire che sei una delle tante comparse in un grande, assurdo spettacolo di cui solo noi occidentali pensiamo di essere i registi e di poter decidere come va a finire.
L’idea che l’uomo sia superiore alla bestie e che per questo ha il diritto di sfruttarle ed ucciderle a piacimento, in India è semplicemente inconcepibile.
La natura non è lì perché l’uomo ne faccia quel che vuole. Niente è suo. E se l’uomo si serve di quel che c’è, deve dare qualcosa in cambio: almeno un ringraziamento agli Dei che l’hanno creato. E poi, l’uomo stesso è parte della natura. La sua esistenza dipende dalla natura e l’Indiano sa che “la rana non beve l’acqua dello stagno in cui vive” …."

(Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra)


Quello che oggi si chiama turismo, cioè il viaggio organizzato, ha una data di origine certa ed un inventore ben determinato: il 5 luglio 1841, Thomas Cook, sfruttando le nuove possibilità offerte dal treno, organizzò un viaggio di 11 miglia da Leicester a Loughborough: ben 570 persone vi parteciparono e il successo fu tale da spingere lo stesso Cook ad organizzare pacchetti turistici sempre più particolareggiati, dando inizio all'industria turistica modernamente intesa. Con l'industrializzazione, il turismo diventò alla portata di più persone, ma restavano ancora pochi quelli che si potevano permettere una vera vacanza.

 HTTPS://WWW.YOUTUBE.COM/WATCH?V=0VD6XBQDTYS

Inno ALLA DEA LAKSHMI - Dal Rig veda



lunedì 2 agosto 2021

          RICORDO INDIANO - AGOSTO 1987 

        12° parte - Manali Valley, Kullu Valley, Parvati Valley




Il mattino dopo decidiamo di andare a visitare l'Adhimba Temple, l'attrazione principale di Manali.
Rimango estasiata dall'immagine di questo tempio meraviglioso che non ha il solito aspetto dei templi hindu e nella mia ignoranza rimango convinta che sia buddhista finché non mi spiegano che non lo è. Leggo che fu costruito da un maharaja nel 1553 su una roccia che emerge dal terreno ritenuta una divinità dalle popolazioni animiste che anticamente abitavano la zona. L'atmosfera intorno al tempio è serena, mi sento in pace con tutto e tutti. C'è qualche turista, mi siedo sui gradini, Massimo scatta alcune foto e poco dopo mi ritrovo a conversare con una corpulenta e triste signora americana che cerco invano di consolare. 

Ci consigliano di visitare le valli intorno a Manali, cioè la Manali Valley, la Kullu Valley e la Parvati Valley. Ogni mattina calcoliamo tempi e percorsi, prendiamo un bus diverso e torniamo sempre a Manali la sera.
Sui bellissimi sentieri di montagna ci imbattiamo spesso in donne e uomini che portano sulla schiena pesanti gerle colme di mele salendo lentamente in fila indiana come formiche. L'incontro più bello però è quello con una ragazza che sta lavando vestiti di lana in un incavo della roccia. E' bellissima e insieme a lei c'è quella che forse è sua sorella e porta sul viso segni evidenti di disabilità mentale. Cerco di scambiare due parole ma non comprende l'inglese e ride gioiosa dei miei inutili sforzi.



Leggiamo sulla guida che a Naggar* si trova il Nicholas Roerich Museum** e la International Roerich Memorial Trust. Ci rechiamo là per vedere i suoi magnifici quadri ma troviamo parecchi reperti, statue e oggetti delle sue collezioni, di quadri ce ne sono pochi e non tra i migliori. Vengo poi a sapere che la maggior parte è conservata a New York. Quel poco che so di Roerich mi è stato raccontato da mio padre che aveva pubblicato quattro dei tredici volumi della serie Agni Yoga, scritti, anzi canalizzati, dalla moglie Helena***

Una foto tra i fiori gialli davanti al museo è tutto ciò che rimane della visita.



Il giorno seguente ci svegliamo di buon mattino e prendiamo il bus per esplorare la Manali Valley. Su un sentiero di montagna, in una foresta vicino ad un villaggio, incontriamo due giovani giapponesi in viaggio. Sono molto simpatici e allegri e ci viene naturale condividere il cammino. La compagnia è così piacevole che decidiamo di rimanere insieme anche il pomeriggio. Verso l'ora di cena arriviamo in un paese dove ci indicano un "tempio ecumenico per pellegrini". Ci spiegano che servono pasti caldi in cambio di un'offerta. Purtroppo arriviamo tardi per la cena ma ci rendiamo subito conto di essere in un luogo molto particolare. La moquette per terra è pulita e ci dicono che ci si può anche fermare per la notte, anche senza sacco a pelo. Alle pareti sono appese immagini sacre di ogni tradizione del pianeta. Sono così sorpresa ed entusiasta da questo stupendo simbolo di Pace, che mi viene da piangere. Un grande cuore deve aver pensato ad un luogo simile, chissà se esiste ancora. Ho provato a fare ricerche ma non ricordando affatto il nome del paese è praticamente impossibile.
L'appetito è notevole dopo le camminate in montagna, cerchiamo un posto per mangiare; a questo punto torneremo al tempio a dormire visto che il bus di ritorno è appena partito. Troviamo un posticino sgangherato dove mangiamo del semplice dahl con chiapati.

La conversazione con i giapponesi è interessante ed è condita da tante risate. Quando ci alziamo ci accorgiamo che sono passate le 22, ora di chiusura del tempio... questo sì che è un guaio! Dopo una breve ed infruttuosa ricerca nei paraggi, torniamo al sedicente ristorante e chiediamo se hanno un posto per ospitarci a dormire. "Ma certo!". Attraversiamo un ballatoio pericolante e saliamo una scaletta sgangherata che ci porta al piano superiore; ci viene mostrata una camera con dentro solo due letti di legno senza materasso. Ok, non c'è altro da fare. Siamo stati stupidi. Avremmo potuto dormire al sicuro in un posto magnifico sulla soffice e pulitissima moquette e invece passeremo la notte vestiti su un duro tavolaccio. Chiedo per i servizi e ci accompagnano dietro una casa, in riva ad un torrente. Il padrone di casa ci indica con la mano una persona che sta facendo i suoi bisogni lì dietro senza scomporsi per la nostra presenza. Alzo gli occhi al cielo dandomi dell'idiota e vado a lavarmi i denti alla fontana lì vicino. Facciamo i nostri bisogni liquidi e andiamo subito a dormire stravolti di stanchezza. Prima di spegnere la torcia (ormai è buio pesto e nella stanza non c'è luce elettrica) noto un grosso ragno in alto in un angolo. Lo faccio vedere a Massimo che non ci fa gran caso e decido di fare lo stesso dopo averlo pregato col pensiero di rimanere lassù senza disturbarci. Alle prime luci dell'alba ci alziamo. Il ragno è ancora là nella stessa posizione della sera prima e noi torniamo col primo bus a Manali.




NaggarSituata sulla riva sinistra del fiume Beas ad un'altitudine di 1.800 metri, è un'antica città nel distretto di Kullu dell'Himachal Pradesh. Un tempo era la capitale del regno di Kullu.

** Nikolaj Konstantinovič Rerich (1874 – 1947) è stato un pittore, avvocato e diplomatico russo esponente del simbolismo. Nicholas Roerich Museum, New York - www.roerich.org


** Helena Ivanovna Roerich (1879 – 1955), teosofa e scrittrice 
russa, creò un insegnamento filosofico chiamato Etica Vivente (Agni Yoga); esiste una comunità anche in Italia che si basa sui suoi principi: https://www.comunitadieticavivente.org/. Prese parte ad alcune spedizioni del marito verso regioni scarsamente esplorate dell'Asia centrale. Presidente onorario dell'Istituto di Studi Himalayani “Urusvati”, in India, e co-autore del Trattato Internazionale per la Protezione delle Istituzioni Artistiche e Scientifiche e dei Monumenti Storici (Roerich Pact https://en.wikipedia.org/wiki/Roerich_Pact)



CONTINUA CON LA 13° E ULTIMA PARTE:

mercoledì 12 maggio 2021

 Bob


Ieri 40 anni fa moriva Bob Marley. L'ultimo suo concerto a Torino, il 28 giugno 1980, prezzo Lire 4000. Io avevo 18 anni ed ero fuori dallo stadio, e ballavo... la musica arrivava fin lì con l'odore della gangia. Molte persone che conosco ora, erano dentro. Io non avevo ancora capito la portata del personaggio e dell'evento. Troppo giovane, troppo innamorata del mio primo ragazzo. Lui aveva reputato troppo caro il prezzo del biglietto... Dopo un'oretta lì fuori, ho capito cosa mi stavo perdendo e ho pianto. Ero furiosa con me stessa per non aver deciso con la mia testa, per quel che pensavo fosse "amore". E poi Bob morí l'anno dopo. A me rimane il rimpianto di aver mancato per un soffio l'ultimo concerto di quello che è diventato uno dei miei musicisti preferiti per la sua musica pacifista, ansiolitica e rigenerante. Il suo ritmo sincopato ha su di me l'effetto che ha un bicchiere di buon vino rosso (mai riuscita a fumare!): relativizzo i problemi, mi distacco e torno serena. POSITIVE VIBRATION... Grazie Bob 💗


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Un giorno indimenticabile, leggendario, il 27 giugno 1980, entrato a pieno titolo nella storia della musica dal vivo in Italia. Bob Marley con i suoi fedelissimi Wailers riuscì a trasformare lo stadio San Siro di Milano in una nuova Woodstock, una grande festa di popolo, pacifica e gioiosa, con oltre 80.000 spettatori paganti.
Fu una serata speciale anche perché, con il senno di poi, Marley - profeta del reggae e della musica del Terzo Mondo, idolo e mito al tempo stesso, sospeso tra spiritualità e rivoluzione - recitò il suo testamento musicale e umano.
(forum.corriere.it)

Il racconto di questa giornalista de La Stampa è un po' didascalico ma preciso: https://youtu.be/Zytd4-GNVwU


Kinky Reggae, una stupefacente sorta di trance:
ma tutti i suoi brani, più o meno allegri o veloci, sono un vero trip


martedì 30 marzo 2021

 Compagni di viaggio


Carla


Gianfranco


A distanza di quindici mesi l'uno dall'altra, se ne sono andati due miei compagni di viaggio.
Loro sono stati due compagni che non conoscevo intimamente, nonostante la lunga vicinanza, l'amicizia e soprattutto la condivisione di un grande ideale.

Carla 
Con certi compagni di viaggio è molto facile comunicare e capirsi perché le reciproche personalità sono molto assonanti e la comunicazione facile.
Con altri non è così semplice, e così è stato con Carla e Gianfranco.
Con Carla chiacchieravo ai tempi del Villaggio Verde, quando entrambe abitavamo là.
Si parlava un po' di tutto ma non c'è mai stata vera intimità. Però ho un ricordo bellissimo della sua prontezza e ospitalità in un momento buio della mia vita, a fine 1999, quando mia madre era allettata a casa di ritorno dall'ospedale. Non avevo più tempo per nulla che non fosse l'accudirla, non ricordavo neanche più se avevo mangiato oppure no, tanto era l'impegno e lo stress. Lei mi vide così e mi propose di cenare a casa sua e di suo marito Beppe, fino a che Gemma non fosse ospitata nella clinica per la riabilitazione. In quel momento quel semplice gesto di amicizia e generosità mi confortò molto perché mi sentivo veramente sola a gestire una situazione così grave. Era ebrea Carla, e una di quelle sere, dopo cena, mi raccontò, ma senza alcuna enfasi, che sua madre era cugina di Primo Levi. Dalle sue poche e frettolose parole intuii i drammi. Era un'ebrea atipica Carla, e non praticante. Faceva parte de Le donne in nero e parlava spesso delle ingiustizie subite dai Palestinesi. Avrei parlato con lei di queste cose per ore ma non c'era mai tempo... la vita ci ha messe su binari distanti. Il suo aspetto era bizzarro, il suo modo di parlare sbrigativo e ironico, andava all'essenziale e a volte dava l'impressione di essere sbadata e superficiale. Ma era tutt'altro. Il problema è sempre l'apparenza. Poi si è ammalata. Sono andata a trovarla due volte in ospedale qui a Torino, e poi è morta. E dopo ho scoperto mille cose che non sapevo su di lei, ho letto libri dove aveva scritto dei contributi, ho scoperto una Carla che non conoscevo. Il rimpianto di non aver chiesto di più, parlato di più, rotto le scatole di più, per saperne di più su tutto ciò che faceva... sono stata io ad essere superficiale nel ritenerla sì, una brava persona, ma un po' troppo lontana per intavolare un'amicizia profonda con lei. 
Da ciò che le persone con le quali collaborava hanno scritto su di lei e dalle parole che ho letto in vari articoli, ho compreso cosa mi sono persa...  
Ecco un suo recente coraggiosissimo articolo del 2017: https://www.invictapalestina.org/archives/29713

Carla Ortona Carla Ortona, psicologa molto nota, apprezzata e amata di Vercelli, mancata il 16 ottobre (2019) avrebbe compiuto 68 anni. Da qualche tempo abitava a Fara Novarese: lascia il marito Beppe Debandi e i fratelli Guido (già docente di Economia all’Upo) e Sandro, grande esperto di Geografia. Figlia di  Silvio Ortona, partigiano, parlamentare del Pci e segretario della Camera del Lavoro di Vercelli, e di Ada Della Torre, cugina di Primo Levi, ed insegnante della media Ferrari di Vercelli (sia la madre prima, poi il padre sono scomparsi da alcuni anni), Carla Ortona, nata a Vercelli, aveva frequentato il liceo Classico Lagrangia e poi le Università di Torino e di Padova, conseguendo due lauree: era psicologa e psicoterapeuta. Aveva lavorato per l’Asl di Vercelli (prima nella Neuropsichiatria infantile poi in Psicologia) ed era volontaria nell’Associazione Insieme, che si occupa dell’assistenza dei malati oncologici. Ma era conosciutissima, sempre come volontaria, anche nell’ambito delle Camere del Lavoro di Vercelli e di Novara. 
Così l’ha ricordata Maria Teresa Fenoglio, di Psicologi per i Popoli di Torino: "Da alcuni anni era parte attiva della nostra mission Associativa. Volontaria nel terremoto delle Marche nel 2016, parte integrante delle Squadre Spes, le Squadre psicologiche di emergenza sociale, curava in particolare le iniziative sui diritti umani. A lei si deve l’organizzazione, per conto di PxP Torino, della celebrazione della Giornata della Memoria. Il dolore per questa perdita prematura è grande. Carla, sarai sempre parte di noi. Ci hai lasciato una grande testimonianza di impegno, mai esibito, enfatico o retorico, proprio perché parte sostanziale del tuo stare al mondo. Ricorderemo perciò con ‘leggerezza’ e affetto il tuo understatement, la tua ironia ed onestà intellettuale". Centratissimo il passaggio sulla sua ironia, che era davvero contagiosa e che Carla Ortona sposava alla perfezione ad un’intelligenza acuta e appagante: l’intelligenza del cuore.
Faceva parte della storia della Casa delle Donne e vogliamo ricordare la sua collaborazione, anni fa con altre due nostre amiche psicologhe, alla nascita dei gruppi di auto mutuo aiuto, che per moltissime donne sono stati e sono un luogo e uno strumento di sostegno per uscire da situazioni di difficoltà e di violenza. Fa piacere anche ricordare il suo entusiasmo – consapevole e intelligente – quando alla Casa nacque il gruppo Visitare luoghi difficili, e poi con le Donne in Nero, dove si è spesa politicamente qui in Italia, in Israele e Palestina: una tensione verso la giustizia che in anni più recenti l’ha vista partecipe del gruppo ECO - Ebrei contro l’Occupazione. Da alcuni anni abitava lontano da Torino ma, pur incontrandola poco alla Casa, la relazione non si è mai interrotta: Carla ha portato con sé, nel suo lavoro professionale e sociale molto di quanto abbiamo condiviso, per le donne e con le donne.

Gianfranco 
Anche Gianfranco se n'è andato, lui il 24 gennaio di questo 2021 che avrebbe dovuto essere migliore del precedente e invece sembra quasi peggio perché siamo tutti stanchi di questa emergenza diventata normalità.
Gianfranco era difficile, almeno per me. Proprio non riuscivo a comunicare con lui, se non in modo superficiale. Il suo bisogno di comunicare era grande ma io facevo fatica, anche lui lo sentivo distante dal mio modo di essere e di sentire. Solo negli ultimi anni ci siamo avvicinati per così dire con l'affetto della maturità, ma solo a distanza, sui social.
Ci siamo visti l'ultima volta, ma senza scambiare parole, solo sorrisi, al bellissimo matrimonio di Yukai e Raffaella, al Villaggio Verde addobbato a festa, dove lui ha suonato col suo gruppo. Portava nel cuore un dolore grande Gianfranco, un dolore profondo come padre, ma non lo esibiva mai, e per questo lo ammiravo nonostante tutte le contraddizioni che, presuntuosamente, mi sembrava di vedere in lui. 
Lui, seguace di Bernardino del Boca, era stato fra i primi ad aderire al progetto del Villaggio Verde negli anni '80 con sua moglie Cinzia, divenuta poi mia amica intima. Giorni fa ho visto un suo video, girato nel 2010, dove esprime il suo sentire profondo, una specie di lettera definitiva, che ascoltata adesso dà i brividi:


Gianfranco Fumagalli

Originario di Milano, dopo la maturità scientifica aveva frequentato la facoltà di Architettura e il Conservatorio di musica, dove ha conseguito il diploma in flauto. Ha condotto anche l’attività concertistica classica, sempre come flautista, sia in Italia che all’estero, con il “Quintetto Arnold”, con cui ottiene il primo posto in due concorsi nazionali (Auditorium della Rai e Ancona) e il quintetto “Divertimento Ensemble” sotto la direzione del maestro Sandro Gorli. Dopo alcuni anni ha aperto uno studio di registrazione personale. Ha realizzato anche numerose campagne pubblicitarie nazionali per diverse agenzie, avendo come collaboratori affermati speaker del settore radiofonico e televisivo. Grazie alla loro vicinanza si appassionò alla recitazione, studiando dizione e trasferendosi da Milano in provincia di Novara. Ultimamente si era dedicato principalmente all’esecuzione di musica irlandese.

«Ho avuto il professor Fumagalli come insegnante di musica alle scuole medie. Lui, come altri docenti, sono stati un’istituzione per gli anni di docenza presso l’istituto. Tanti romagnanesi lo hanno avuto e hanno potuto apprezzare la sua passione per la musica. Lo scorso settembre lo avevo incontrato nel corso della rassegna organizzata dal Comune con il Conservatorio di Novara e ci aveva ringraziato per questa iniziativa di valorizzazione dei giovani musicisti in un periodo non facile per via della pandemia. Proprio in quella occasione avevamo parlato di realizzare per quest’anno con la sua band una serata irlandese».
«Carissimo professor Fumagalli – scrive il Comitato genitori di Ghemme su Facebook – grazie per aver accompagnato i nostri ragazzi. Grazie per la sua musica, ma soprattutto per il suo sguardo attento. Siamo certi che i semi che con tanta cura ha piantato daranno molto frutto».