Homo consumens
Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi
I libri di Bauman si contraddistinguono per acutezza e profondità e questo non è da meno. Cento densissime pagine e in copertina una foto che ritrae dei piccioni come a suggerire il tema del primo capitolo “Mode volatili”.
Il tema affrontato è tra i più inquietanti per i suoi
molti risvolti sociali e psicologici cioè il consumismo tipico delle
cosiddette “società liquide”. Per società liquida, Bauman intende una
società dove nulla è permanente, dove non ci sono saldi valori di
riferimento e il consumismo è appunto una delle caratteristiche
principali. Nei primi due capitoli Bauman affronta il paradosso della
libertà che l’uomo ha di consumare cosa, quanto e come vuole, ma è in
realtà “costretto” a consumare se vuole rimanere nella società che si
autoalimenta appunto di consumo, per evitare di essere escluso e
diventare a poco a poco un emarginato.
Questo nostro attuale sistema – orami tanto diverso da
quello della precedente era industriale – non ha più bisogno di molti
soggetti che “producono” perché la tecnologia si è evoluta moltissimo e
necessita di un numero minore di lavoratori impiegati nella produzione
di beni; necessita invece di una schiera immensa di consumatori, a tal
punto che tutto è ridotto a bene di consumo che può, anzi deve, essere
dismesso e rottamato a breve termine, per essere sostituito da un
prodotto più innovativo, più di moda (oppure si è rotto e ripararlo
costa più che comprarlo nuovo, la famosa obsolescenza programmata).
Si fa anche grande e veloce consumo di informazioni da cui siamo tutti bombardati ogni giorno dai media on- e off-line,
e la strategia di sopravvivenza psicologica indispensabile sembra
essere diventata quella del sapersi difendere dalla maggior parte delle
informazioni che si ricevono ogni giorno. Le infinite possibilità di
scelta tra così tanti prodotti, servizi e informazioni appare come
un’incredibile libertà, ma è un sottile inganno percettivo perché vi è
una sorta di coercizione soft e tra l’altro “[...] l’obbligo di scegliere presentato come libertà di scelta
non solleva alcun dissenso o ribellione, questa è la grande novità
rispetto ai sistemi precedenti”; la conseguenza è che tra la gente è
sempre più diffusa l’apatia politica.
La gratificazione ritardata un tempo era un valore, come
pure il sacrificio dell’oggi per il domani, il sacrificio del singolo
per la comunità, e i bisogni del tutto erano più importanti dei bisogni
delle parti; ora questi valori vengono considerati oppressivi e contrari
alla natura umana. Anche la socialità e la comunicazione nelle comunità
sono disgregate quasi ovunque e questo è vero soprattutto nelle grandi
città (ma non solo), a causa dell’aumento di barriere fisiche
inimmaginabili un tempo (per esempio le aree commerciali di periferia
dove si passa solo in auto): muri veri e propri o sistemi di allarme a
difesa dei consumatori più o meno benestanti dagli attacchi di chi è
rimasto fuori e delinque, o semplicemente da chi è escluso dal
pregiudizio (emarginati, stranieri, profughi, ecc.). Le barriere, i
muri, sono il simbolo di quella che Bauman chiama “Mixofobia” a cui
dedica un intero capitolo, cioè la paura (data per scontata) di
mischiarsi agli emarginati di qualsiasi tipo. Le armi degli esclusi sono
atteggiamenti e abbigliamenti bizzarri, l’inosservanza delle regole,
atti vandalici di sfida alla legge (tra l’altro spesso i giovani
sedicenti anarchici e 'punkabestia' imitano questi atteggiamenti, pur
provenendo da famiglie “bene”, per protesta, esternando in modo
maldestro e ambiguo il proprio disagio).
Certamente non mancano anche esempi positivi di convivenze
alternative, ma purtroppo esistono quasi esclusivamente nell’Europa del
nord dove la densità di popolazione è molto ridotta rispetto al
territorio e quindi la famosa forbice tra abbienti e meno abbienti è
meno larga.
Si cerca spasmodicamente il senso perduto d’identità
comunitaria che spesso sfocia in atteggiamenti secessionisti,
segregazionisti o xenofobi. Il senso del “noi” dà un certo sollievo e
rende la convivenza più facile, senza troppi fraintendimenti e
soprattutto evita di dover comprendere, riconoscere, negoziare le
differenze. Gli amministratori pubblici e i cittadini si devono quindi
confrontare con problemi più grandi di loro e indubbiamente è
impossibile trovare soluzioni locali a problemi sociali globali. Il
motivo per cui la politica di aiutare quelli che hanno più bisogno non
funziona – e non fa altro che aggravare i conflitti sociali e culturali –
è che la causa profonda del generale malessere non è quello che fanno i
poveri, ma lo stile di vita della minoranza dei veri ricchi e il loro
modo di influenzare la rete di rapporti sociali ed economici.
Altro motivo di disgregazione deriva dal fatto che quello che Bauman definisce Homo Consumens
è il componente di uno “sciame”, cioè una persona che si aggrega a un
gruppo solo momentaneamente, per la durata della seduzione
dell’obiettivo mutevole; quando l’obiettivo cambia, si aggregherà ad un
altro sciame verso un nuovo obiettivo: “[...] Gli sciami non sono
squadre, nello sciame non c’è scambio né cooperazione ma solo vicinanza
fisica e direzione”.
Se ci soffermiamo a pensare, ognuno può riconoscere nella propria vita uno sciame di cui ha fatto parte per breve tempo per seguire qualche interesse (che sia esso verso il consumo di beni materiali, culturali o addirittura spirituali… ormai).
Se ci soffermiamo a pensare, ognuno può riconoscere nella propria vita uno sciame di cui ha fatto parte per breve tempo per seguire qualche interesse (che sia esso verso il consumo di beni materiali, culturali o addirittura spirituali… ormai).
La società dei consumi si basa sull’insoddisfazione
permanente, cioè sull’infelicità. Il desiderio si trasforma in bisogno e
diventa un’esigenza compulsiva, una dipendenza. Chi non ha mai, neanche
una volta nella vita, trovato un po’ di sollievo contro l’angoscia o il
dolore facendo un po’ di “innocuo” shopping…
Ovviamente in questo sistema i poveri e gli emarginati che
vorrebbero consumare ma che non possono, sono tagliati fuori e la
disparità tra chi può consumare e chi non può si fa sempre più larga e
quindi Bauman lancia una sfida alla morale perbenista facendo notare che
la colpa dell’esclusione sociale ormai viene fatta ricadere solo sugli
esclusi stessi perché essi vengono considerati rei di non aver fatto
abbastanza e quindi di meritare quella condizione. “[...] Essere felici è
diventato necessario al mantenimento dell’autostima, oltre a essere un
segno di virtù e una condizione da ammirare. Ma se il consumo è la
misura di una vita riuscita cioè della felicità e perfino della virtù,
allora non c’è più limite al desiderio umano [...]”.
Da questa mentalità deriva il fatto di considerare il welfare
solo un peso inutile per lo Stato e non più una delle più grandi
conquiste democratiche che hanno migliorato la convivenza civile e
ridato speranza a milioni di persone. Lo stato sociale (anche detto,
dall’inglese, welfare state) è una caratteristica dei moderni
stati di diritto che si fonda sul principio di uguaglianza e da esso
deriva la finalità di ridurre le disuguaglianze sociali.
Con grande equilibrio e incredibile acume l’autore
affronta questo delicatissimo tema intitolando il capitolo-appendice con
una citazione biblica cioè la risposta di Caino alla domanda di Dio che
chiede dov’è finito Abele: “Welfare assediato. Sono forse io il
custode di mio fratello?”. Questa domanda ormai se la pone tutto il
continente europeo! Per giustificare l’esistenza del welfare (un
tempo istituzione quasi eccessiva e ora in fase di eccessivo
smantellamento) in una società umana e civilizzata, la domanda
richiederebbe la risposta affermativa, ma il “pensiero unico” basato su
competitività, profitto e rapporto costo-beneficio non vi trova alcun
senso.
“[...] La qualità umana di una società dovrebbe essere
misurata a partire dalla qualità della vita dei più piccoli tra i suoi
membri [...]” dice Bauman, ma osserva anche che non c’è nulla di
“ragionevole” nell’assunzione di responsabilità, nell’essere solidali
con l’infelicità dell’altro e prendersene cura, perché queste cose
derivano dal senso morale. Oggi è di capitale importanza iniziare a
misurare la qualità di una società dalla qualità dei suoi standard
morali, anche se non rendono più ricchi né gli individui né le imprese,
altrimenti la società stessa non si potrà più chiamare né umana né
civile.
Al contrario, il messaggio lanciato a milioni di telespettatori dai reality show
è che non ci si può fidare di nessuno e nessuno è indispensabile, la
vita è un gioco duro fatto per duri, ogni giocatore gioca per sé, per
andare avanti bisogna allearsi e per vincere si è costretti a tradire.
La compassione e la fiducia sono sentimenti suicidi, inutili per il
nostro progresso personale: è la morale della sopravvivenza, la legge
della giungla…
Certo, la lettura di Bauman non è mai consolante o
tranquillizzante, anzi, ma ci aiuta a prendere coscienza di meccanismi
che spesso intuiamo, ma ai quali non siamo spesso in grado di dare
interpretazione, né riusciamo a individuare il nesso causale tra gli
eventi globali e la realtà che ci circonda. Andare oltre la
superficialità ci rende più responsabili e può aiutarci ad immaginare un
mondo diverso, a continuare a sognare un’alternativa e tentare di
metterla in pratica almeno nel nostro piccolo, nella nostra vita e nei
nostri rapporti.
Indice
- Mode volatili. L’irresistibile impulso a consumare e trasformarsi
- Lo sciame inquieto. Dall’homo politicus all’homo consumens
- Mixofobia. Alla larga dai poveri
- Risentimento. Quando il pericolo è dentro le mura
- Appendice – “Welfare assediato. Sono forse io il custode di mio fratello?”
- Bibliografia
Zygmunt Bauman, Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Edizioni Erickson, Gardolo (TN) 2007, pp. 102, € 10
Recensione Isabella Bresci, pubblicata il 6/11/2014 su www.serenoregis.org
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