L'ambiguità della tolleranza
La parola ‘tolleranza’
etimologicamente deriva dal latino ‘tolerare’ dalla una radice indo-germanica
‘tal’ e suoi derivati, e significa alzare, sollevare, pesare, sopportare.
Tollero significa quindi, in senso
allargato: prendo sopra di me, mi arrogo, oso, sopporto, sostengo.
Questa parola ha assunto nel
nostro tempo una connotazione molto positiva che si allontana dall’originale. A
guardar bene la sua etimologia suggerisce il concetto di uno ‘sforzo di sopportazione’,
di ‘accondiscendenza’. Sotto l’uso di questa parola infatti è sotteso il nostro
‘ben pensare’. Ci si sente a posto con la coscienza quando si pensa a noi
stessi come a persone ‘tolleranti’, è un sintomo di civiltà, di ragionevolezza,
di non-violenza, il contrario della xenofobia, del razzismo, ecc… suggerendo
l’idea dell’accettazione.
Nel
corso della storia europea, dal Cinquecento in poi, lentamente il significato
si è avvicinato a quello del verbo "comprendere", quindi accettare le
differenze, apprezzarle e qualche volta perfino amarle.
Ma la linea che separa la
‘tolleranza’ dalla mera ‘sopportazione’ del diverso è sottilissima.
In genere ‘tolleriamo’ situazioni
e persone in vista di qualche risvolto positivo per noi.
Facciamo questo sforzo in vista
di un qualche guadagno. Si tollerano atteggiamenti antipatici perché la ragione
ci suggerisce che quelle persone è bene non contrastarle per ottenere qualcosa,
per mantenere un lavoro o un impegno, perché non si può evitare o per quieto
vivere.
Tolleranza semmai può quindi essere
sinonimo di pazienza ma non di comprensione, accettazione e amore, come l’accezione
attuale sembrerebbe suggerire.
Non è quasi mai possibile accettare
e poi amare ciò che non si conosce, ma per conoscere bisogna avvicinarsi, anche
solo per curiosità, e per avvicinarsi non bisogna avere paura ma desiderio, e
per non avere paura, bisogna aver avuto la fortuna di aver assorbito una ‘cultura’
in tal senso, una cultura di abitudine a guardare più ampi orizzonti e
abitudine al ‘rispetto’.
Sì, perché il rispetto è
essenzialmente una questione culturale.
Se non si posseggono gli
strumenti culturali per avvicinarsi con curiosità al ‘diverso’ da noi, come si
può sperare di poterlo comprendere?
Possiamo dire che la tolleranza è
il minimo requisito per il mantenimento della pace civile, questo certamente è
vero, ed a questo bisogna tendere come società di esseri umani degni di tale
nome.
Quasi sempre protendiamo ad avere
una visione manichea del mondo, anche senza rendercene conto, una netta
divisione tra buoni e cattivi e nelle discussioni spesso si parteggia a spada
tratta per difendere una posizione per partito preso senza neanche conoscere in
profondità i dettagli della situazione.
Penso che la verità invece sia
per certi versi paradossale e che ci sia un po’ di nero nel bianco e un po’ di
bianco nel nero. La filosofia taoista questo lo insegna egregiamente semplicemente
con il solo suo simbolo.
La nostra ‘visione’ delle cose
della vita è molto limitata e la nostra mente funziona solo se ci sono
parametri spazio temporali, ma la
Vita è ben altro.
E’ chiaro che non si può
‘tollerare’ la violenza, ma usare la violenza per reprimere la stessa violenza
crea un circolo vizioso che è il germe delle guerre pubbliche e private.
Ci si deve difendere dalla
violenza e non cedere ad essa soprattutto dentro di noi, come metodo per farsi
giustizia. La violenza è sempre sintomo di debolezza, non di forza. Si arriva
alla violenza quando si è incapaci di trovare altri modi di comunicare.
Per assurdo nei Paesi che durante
il XIX e XX secolo hanno colonizzato intere regioni del mondo, usando metodi
violenti per sopraffare le popolazioni, col tempo, paradossalmente, sono
diventati più tolleranti perché sono stati a loro volta ‘invasi’ dalle
popolazioni che avevano colonizzato e ora le loro culture si sono col tempo
integrate, per esempio l’ Inghilterra, la Francia, l’Olanda, ecc…
Negli Stati Uniti, dopo tre
secoli di lotte, un afro-americano è diventato presidente.
L’umanità da secoli si è spostata,
con grandi flussi migratori in cerca di condizioni migliori, a volte pacificamente,
a volte con molta violenza. Quello a cui assistiamo oggi, se solleviamo lo
sguardo al di là del nostro piccolo spazio e al di là del nostro breve spazio temporale,
scorgiamo il continuo, ineluttabile contatto con altre civiltà. Sta a noi
viverlo in modo positivo, come arricchimento e non come perdità di identità e
confusione.
La paura purtroppo è sempre una
cattiva consigliera e se trascende la sua funzione di campanello d’allarme per
un pericolo imminente, diventa paranoia, diffidenza e causa di astio immotivato
che ci fa regredire a stadi primitivi di coscienza.
Ogni mattina e ogni sera, sul bus
che prendo per andare e tornare dal lavoro, intraprendo quel breve viaggio con
dei compagni sempre diversi. Attraversiamo insieme una zona della città tipica
per la sua multiculturalità e quello che vedo sono esseri umani come me.
Al mattino viaggio con le donne
di vari colori che vanno al mercato o che accompagnano all’asilo o a scuola i
loro bambini. A volte i passeggini vengono issati da altri passeggeri e i
sorrisi sciolgono anche la seriosità delle donne musulmane col viso
incorniciato dal foulard.
Al ritorno i miei compagni sono
quasi tutti uomini con gli indumenti sporchi di calce; sento l’odore della loro
fatica ma non provo fastidio perché è l’odore dell’onestà che mi rassicura.
Raramente sale qualche tipo
sospetto, in genere sono pesci piccoli del traffico di droga, e in genere si
appartano in fondo, parlano piano e si guardano nervosamente intorno con i loro
grandi occhi. Più che paura, mi fanno pena e, osservandoli discretamente, mi
domando quale disperazione o quale indolenza li abbia portati su quella triste
strada e se mai ne usciranno.
In cinque anni ho assistito solo
due volte a episodi di ‘intolleranza’ e, ironicamente succedeva, nel primo
caso, tra due immigrati, entrambi qui per cercare di avere un futuro migliore
quindi ‘sulla stessa barca’, nel secondo caso tra due anziani che hanno finito
per suscitare la bonaria ilarità degli altri passeggeri.
Ma un’immagine è rimasta più di
ogni altra impressa nella mia mente, tanto bella da sembrare irreale: quattro
ragazzine, una cinese, una musulmana, una italiana e una di colore, di circa
tredici anni attraversavano di corsa la strada tenendosi per mano. Le loro
risate allegre e cristalline si spargevano nell’aria di quel mattino e non
c’era nulla di strano, forse… ma era la prima volta che vedevo con i miei occhi
la materializzazione, per quanto momentanea, di un sogno di Pace.
Tolleranza – sopportazione, comprensione, rispetto, empatia,
simpatia, gentilezza, curiosità, elasticità mentale, desiderio di conoscenza,
amore per la cultura, altruismo, interesse per il bene comune, amore per
l’umanità, amore per la Natura
e per Dio.
Intolleranza - paura, sospetto, riflesso condizionato di fuga e/o aggressione,
irritazione, non rispetto, astio, chiusura mentale, fondamentalismo, disinteresse
e indifferenza per le altrui sofferenze, egoismo, razzismo, odio.
Porta Palazzo, il mercato multietnico di Torino: https://www.youtube.com/watch?v=L8_Z4rMcQQ8