mercoledì 1 gennaio 2025


A mille ce n'è....





Oggi ho capito la causa del mio spleen*. Mi era già successo a metà febbraio ed é durato una settimana (spero meno stavolta). É una sorta di "peso" del passato. Difficile da spiegare a parole. É come se tutti i ricordi belli e brutti della mia vita di 61 anni mi pesassero sul cuore. Quelli belli creano nostalgia, quelli brutti gratitudine per lo scampato pericolo oppure per averli superati bene e imparato qualcosa. Ma sono tanti. Moltissimi quelli della mia infanzia e sono quelli i più "pesanti" perché densi di sentimenti contrastanti.

Per far passare lo spleen mi rifugio in uno dei ricordi più belli e indelebili della mia infanzia: le ore incantate che passavo ascoltando le "Fiabe Sonore" dei Fratelli Fabbri Editori.

Durante gli anni della scuola elementare che iniziai il 1° ottobre del 1967, frequenti tonsilliti mi tenevano spesso a casa e mamma Gemma allora pensò di consolarmi con i meravigliosi libri di fiabe illustrate che uscivano ogni settimana in edicola con allegato un disco 45 giri. 
La pubblicazione delle "Fiabe Sonore" era iniziata l'anno prima col disco di lancio de "I tre porcellini" che andò a ruba.

Quelle favole erano davvero speciali e molto più tardi, quando ebbi anche io una piccola casa editrice, capii in cosa consisteva la loro magia: i libri erano sottili quindi leggeri, le pagine di carta patinata erano grandi proprio per perdersi dentro, le immagini molto raffinate, il testo impaginato in modo originale ma facilmente leggibile. 
Il testo di ogni favola era letto da attori professionisti, uno fra tutti Silverio Pisu nipote del noto Raffaele; alla narrazione venivano aggiunti i rumori di scena proprio come i romanzi letti alla radio. Per ogni fiaba c'erano quattro o cinque canzoni musicate divinamente e cantate da un solista e da un coro. Ne uscirono molte, io ne conservo gelosamente sessanta. Sono sopravvissute a tutti i traslochi ma ora sono in cantina perché troppo grandi per la libreria nella mia "casa dei Puffi".  Recentemente, con mia grande gioia, le ho ritrovate tutte su di un canale Youtube di un privato portoghese... c'è tutto: sonoro e immagini delle pagine sfogliate.

Mia mamma Gemma (1928 - 2008) lavorava nel negozio di filatelia in via Nizza 1 che era stato già di mio nonno prima della guerra, poi gestito da mia nonna per qualche anno, e infine da lei per vent'anni. Ogni giorno per andare e tornare dal negozio prendeva, quattro volte al giorno, il tram numero 9 che passava in corso De Gasperi (che a quel tempo si chiamava corso Orbassano) alla fermata del benzinaio dove c'erano quattro panchine e quattro grossi alberi. Apriva il negozio alle nove e chiudeva a mezzogiorno e mezza, pranzava con noi con il cibo era preparato da nonna Pina, lavava i piatti e il pavimento, si riposava un po' sul divano e riapriva alle quindici e trenta fino alle diciannove. In estate andavo ad aspettarla alla fermata con la nonna. Quando il tram si fermava, io riuscivo a riconoscere le scarpe di mia mamma guardando sotto, i piedi delle persone che scendevano, e anche se a volte non le vedevo, non so come, sapevo sempre se la mamma era scesa oppure no...

Sono ricordi semplicissimi e molto speciali, come la gioia che provavo quando arrivava la fiaba nuova! Se non ero a letto malata non le ascoltavo mai, preferivo giocare dopo aver fatto i compiti, a volte con la mia amichetta Amalia, più spesso da sola con i miei amati animaletti di plastica, il mio gioco preferito. Quando ero a letto con la febbre e la gola che bruciava, chiedevo a mia nonna di portarmi una fiaba a sorpresa. Quando la sigla partiva con il famoso attacco "A mille ce n'è, nel mio cuore di fiabe da narrar..." entravo in un altra dimensione, in un mondo lontanissimo dal tempo in cui vivevo, dalla mia casa, dal mio letto e soprattutto non sentivo più il mal di gola.



 



*Maggio 2022. Lo spleen è uno stato d'animo caratterizzato da una profonda malinconia, insoddisfazione e noia. Il termine è stato reso popolare soprattutto dal poeta francese Charles Baudelaire, che lo descrive in diverse poesie.

domenica 8 dicembre 2024

Adele



La tua mano sulla mia, leggera come un soffio, mi disse un giorno:

vedi, le nostre radici sono avvinghiate in un tempo lontano,

in fondo all'anima della Terra”.

Sta sotto il nostro cielo comune questa terra senza nome.

E’ la terra del gesto antico che porta rispetto, dell’amore incorruttibile, del muto comprendere, dell’antico sentire che condividiamo senza aver calpestato gli stessi sentieri.

Come alberello trapiantato dalla sua terra al vaso,

hai radici assetate, foglie sempre rivolte al sole del tuo piccolo mondo lontano.

Persistente e dolce è il profumo dei tuoi fiori sorridenti.


(aprile 2014)

venerdì 30 agosto 2024

La rosa antica


La rosa antica


Dedicato a Claudio Rugafiori 


Una rosa antica.

Hai petali rosso cupo la cui fragranza a tratti stordisce.

Un tronco sottile, contorto, paziente alle intemperie.

Mi piace respirare quel profumo penetrante, quell'ossigeno che nutre la mente.

Miliardi di righe da migliaia di libri vorticano intorno a noi come in una danza.

Per tua magica mano, da loro zampilla fresca acqua di conoscenza.

La mia mente assetata vorrebbe berla tutta ma il vaso è minuscolo.

La Storia: un mucchio di rovine arroventate al sole ma il Tempo si inchina davanti al tuo cancello, si smarrisce e sfinito cade addormentato nel tuo giardino fatato.

E si ferma.





domenica 12 maggio 2024

Due Natali indimenticabili



Mi trasferii al Villaggio Verde nel luglio del 1991 dopo il faticosissimo trasloco della casa editrice L'Età dell'Acquario, a seguito della morte di mio padre, l'editore Edoardo Bresci avvenuta l'anno prima.

I giorni delle vacanze natalizie del 1993-'94 (magari sbaglio anno, ma di poco) sono tra i più bei ricordi dei miei otto anni vissuti al Villaggio se escludo i miei primi anni di vita in cui il solo pensiero che Gesù Bambino, insieme a Babbo Natale, mi facesse l'impagabile onore di entrare a casa per portare qualche regalo, mi procurava un'eccitazione sublime dal primo giorno di dicembre.

Il Natale, negli anni '90, non era mai un bel periodo per me. Il mio compagno di allora, Marco Orsi, partiva sempre per viaggi di circa quindici giorni a scopo benefico e turistico, quasi sempre in Birmania, invitato dal professor Bernardino del Boca che accompagnava con un gruppo di seguaci. La tristezza e il senso di abbandono si impadronivano del mio cuore ammorbandomi la mente con pensieri che ben poco avevano a che fare con la letizia che questa ricorrenza mi aveva sempre evocato.

Nel grande spazio comune che chiamavamo “salone”, un anno decidemmo di condividere il pranzo di Natale. Ognuno avrebbe preparato qualcosa a casa sua e per l'occasione fu allestita una grande tavolata per circa venti persone.

Era bello assaggiare i piatti di diverse tradizioni famigliari condite da tante risate. Passammo poi il pomeriggio a cantare con l'accompagnamento della chitarra di Dave, un ragazzo americano bello e simpatico arrivato da poco al Villaggio col suo immenso zaino; al suo arrivo alla stazione di Romagnano Sesia mi aveva detto: “mi sono messo in viaggio dagli Stati Uniti per trovare le mie radici italiane e magari... trovare una donna”

Ci rendemmo presto conto che gli “avanzi” bastavano per un reggimento... Quindi a Santo Stefano i cosiddetti avanzi furono riproposti e qualcuno portò a casa ancora cibo per la sera. Ricordo le chiacchiere, le belle riflessioni e a volte il silenzio davanti al caminetto che io adoravo anche se “tirava male”.

Il 27 la voglia di stare insieme non era ancora passata, cominciavamo a prendere gusto alla compagnia rilassata, liberi da qualsiasi impegno. I piatti di quel giorno erano meno elaborati, alcuni preparati nella cucina del salone, altri a casa, l'importante era stare insieme lasciando da parte i problemi che spesso ci assillavano.

Ripetemmo la stessa cosa l'anno successivo e di nuovo il senso di “famiglia allargata” e di calore mi scaldò l'anima.

Anche il Capodanno fu per alcuni anni una piacevole occasione di festa a cui partecipavano anche amici dei dintorni; c'era sempre tanta musica e balli ma i miei ricordi sono decisamente più sfocati e il ricordo meno caro al mio cuore.

Luna Rossa




Uno dei ricordi più belli del periodo vissuto al Villaggio Verde risale al 1997 cioè poco prima di trasferirmi a Romagnano Sesia, dove vissi poi per due anni, prima di tornare definitivamente a Torino.

La mia vita aveva subito gravi scossoni sia nell'ambito del lavoro, della vita di coppia che della salute. Sentivo di non essere più in sintonia con il luogo, come se quell'esperienza si stesse esaurendo e non mi nutrisse più.

Da gennaio ero tornata single e una sorta di stabile apatia ammorbava il mio spirito.

Ma ecco che fortunatamente fu organizzato un corso di recitazione di molti mesi col prezioso regista Paolo Raimondi che culminò con un vero e proprio spettacolo teatrale in cui ognuno di noi, con le proprie specifiche capacità e il proprio particolare talento, apportava il proprio contributo. Alla rappresentazione partecipammo circa in venti e altrettanti, con piccoli e grandi apporti contribuirono alla sua realizzazione pratica.

Fu un percorso impegnativo ed entusiasmante, una delle più belle esperienze della mia vita che mi aiutò a mettere in moto energie positive che contrastarono la cappa di tristezza che imbrigliava la mia mente.

Mettemmo in scena il racconto introduttivo al libro Luna Rossa* dell'autrice inglese Miranda Grey che trattava del potere spirituale femminile. E' un favola iniziatica in cui un'archetipica ragazza dal nome evocativo di Eva, vive un sogno molto particolare durante la notte del suo primo ciclo mestruale.

Paolo scrisse la sceneggiatura e assegnò le parti in base al carattere e alle predisposizioni di ciascuno di noi e si occupò anche delle luci. Marco Mazzilli, che studiava per diventare decoratore artistico pensò alla scenografia, Flavio Menolotto alle musiche (quasi tutte del gruppo di fusion etnica Dead Can Dance**) e al lavoro di mixer audio. Una piccola parte del “campo celtico”, (così chiamavamo i campi dietro le case che allora non erano coltivati, al limitare del bosco, dove in passato furono trovati reperti celtici) fu adibita a palcoscenico da Paolo Zoni e Renzo Della Toffola, creando un pavimento con blocchetti di cemento e assi di legno removibili. Ognuno infine dovette pensare al proprio abito di scena.

L'arte per me naturale è la danza, quindi dissi a Paolo che avrei voluto occuparmi delle coreografie, così interpretai tutte e tre le scene danzate più una breve parte recitata. Per la danza dei demoni e quella della vestizione coinvolsi la mia amica Monica Gallarate, danzatrice e insegnante di danza classica indiana e Ambra Pittoni, un'artista che a quel tempo praticava danza mediorientale.

Progettammo di fare lo spettacolo una sera di luna piena, in giugno.

Il pensiero che potesse piovere non ci sfiorò nemmeno per un attimo, il clima era stabile e l'unico problema fu l'incursione delle zanzare mentre ci preparavamo dietro le quinte un'ora prima dello spettacolo; così eccitati e felici non ci facemmo quasi caso.

Alle 21.30 tutto era pronto, la maggior parte del pubblico era seduta e altro publico era in piedi. Dopo la presentazione di Paolo partì un brano molto evocativo e le luci rosse illuminarono la grande sfera sospesa al di sopra della scena. A metà della rappresentazione ci fu la scena della regina dei Celti, Boudicca interpretata da Muriel, che contemplava la presenza in scena di uno dei nostri cavalli che “recitò” docilmente la sua parte.

Dopo esserci struccati e cambiati, non riuscimmo a salutare bene il pubblico perché la maggior parte se ne andò subito dopo il lungo e sincero applauso. Personalmente avrei voluto sentire qualche impressione, qualche commento o critica.

Comunque eravamo al settimo cielo, felici che tutto fosse andato nel migliore dei modi... Credo che Melpomene, l'antica musa della tragedia greca da noi evocata, quella sera abbia steso un incantesimo sul campo celtico. L'atmosfera creata era surreale.

A casa, nel mio letto, l'adrenalina si decise a scendere e io percorsi mentalmente tutte le fasi dello spettacolo rivivendole al rallentatore, in particolare quella per me più impegnativa dove interpretavo il Serpente che simboleggiava la forza dell'eros.



La capriola all'indietro che temevo non riuscisse come volevo, mi venne alla perfezione e sparii come previsto tra le gambe di Isabella, la mia omonima che interpretava Eva, la protagonista.

Avevamo fatto tutto noi, avevamo creato insieme qualcosa di Bello con le nostre capacità, ognuno come riusciva e poteva, e ci godemmo orgogliosamente la riuscita del progetto a dimostrazione che quando si lavora insieme con gioia per il Vero, il Bello e il Buono, lo Spirito ci assiste sempre e la Natura collabora.
Il ricordo di quella sera è vivido nella mia memoria come fosse accaduto pochi mesi fa anche se sono passati 27 anni; fu una serata indimenticabile per tutti quelli che vi presero parte.

Al teatro di Romagnano Sesia replicammo in ottobre e riempimmo la sala.
Fu invitata la dolce autrice di passaggio in Italia per un giro di presentazioni.

Dopo lo spettacolo Miranda era visibilmente commossa e disse che mai avrebbe immaginato che il suo racconto potesse dare origine ad uno spettacolo...

Di quella replica ricordo poco ma per mia fortuna qualcuno lo registrò su VHS e anni dopo lo riversai su DVD e poi su file ma... la luna piena, gli odori della sera, la brezza tiepida, il frinire dei grilli, la luce delle torce della “prima” contribuirono a creare una magia irripetibile che è conservata indelebilmente solo nei nostri cuori.



* Luna Rossa, Miranda Grey, Edizioni L'Età dell'Acquario 1996, riedizione Macro Edizioni

** Dead Can Dance https://www.ondarock.it/dark/deadcandance.htm

 Sulla Guarigione

Emmanuel



Domanda: Mi è stato detto che non esiste malattia che non possa essere curata.
Confidando in questo, cosa posso fare per ritrovare la mia salute?
Emmanuel: Qui c'è una questione di volontà.
Quando si dice "Non c'è niente che non possa essere curato", si intende "alle mie condizioni".
Ma esiste davvero una cura per tutte le malattie?
Direi di sì, se foste abbastanza saggi da considerare la morte una cura.
Il corpo, nella sua infinita saggezza, sa cosa è necessario al suo equilibrio.
Siete voi a fare la diagnosi e siete voi il medico, se soltanto voleste ascoltare.
Lasciate che vi dica questo: quando l'anima è pronta a lasciare il corpo, potreste andarvene in giro come atleti forti e sani ma il cuore si fermerebbe lo stesso.
Se l'anima non è pronta a partire, il corpo guarirà.

È necessario riconoscere il potere della coscienza liberata dell'essere umano,
non la volontà, ma la coscienza liberata che ha la capacità di ricostruire e 
guarire il proprio corpo.
Poiché alcuni di voi evolveranno nella vita diventando guaritori, 
lasciate che vi ricordi che ci sono anime che non desiderano essere guarite.

"Devi guarire" spesso è questo il messaggio dato dal guaritore.
Solo se lo vuole, e non siete voi a deciderlo.
Non siete delle autorità in merito. Non imponete la vostra volontà. Date semplicemente amore. L'anima prenderà quell'amore e o porrà dove potrà farne l'uso migliore.

* Il Libro di Emmanuel, un manuale per vivere confortevolmente nel cosmo, Vol. I
  Pat Rodegast, Judith Stanton, Edizioni Crisalide 1991



giovedì 22 febbraio 2024


Un sogno indimenticabile



Quando ero una ragazza di 22 anni feci un sogno vividissimo che ancora ricordo perfettamente. Era il 1984 e allora non ascoltavo affatto musica classica ma vidi il film Amadeus di Milos Forman. Rimasi molto colpita dalla storia ma soprattutto dalla musica e cominciai ad innamorarmi letteralmente della luminosità che emanava, dalla giocosità, delle armonie mai senza speranza anche nei brani più drammatici. Una settimana dopo aver ascoltato tantissimi brani del mio nuovo idolo e letto d'un fiato un libro che raccoglieva gran parte della sua corrispondenza privata*, sognai di essere in un palazzo del '700, forse Palazzo Madama a Torino che allora era completamente vuoto.

Salivo il grande scalone di marmo bianco seguendo una musica celestiale e dolce che proveniva da qualche stanza. Arrivo alla stanza da dove proveniva la melodia, entro timidamente dalla porta socchiusa e vedo un uomo di schiena che suona il pianoforte ovviamente vestito come si usava a quei tempi, ricordo la giacca azzurra, senza parrucca, solo un fiocco nero legava in un codino i suoi capelli castani.

Avverte la mia presenza, smette di suonare, si volta, e sfoderando un meraviglioso sorriso dice a voce alta: "Finalmente! Ti aspettavo!!"
Rimango a bocca aperta e il cuore mi balza in gola per la gioia incontenibile di aver incontrato proprio lui: herr Wolfgang Amadeus Mozart in persona e purtroppo... mi sveglio.
Quel film, quel sogno, quell'incontro mi hanno fatto capire e apprezzare la sublime bellezza della musica classica di tanti autori del passato. Ho imparato ad apprezzare la geometria perfetta di Bach, la potenza di Beethoven, la struggente malinconia di Chopin, e poi Hendel, Hydn, Vivaldi, Scarlatti, Shubert, Debussy, Ravel, Strauss,Verdi, Gershwin e tantissimi altri.
La musica che però accarezza il mio cuore come nessun altra è, e rimarrà sempre, quella del "mio" Amadeus.

* Wolfgang Amadeus Mozart, Lettere, La Nuova Guanda