lunedì 18 agosto 2025

 Miracoli 

Quindici giorni di vacanza in Marocco, era il 1992.
Di quella vacanza ho alcuni ricordi un po' confusi e due indelebili. Senza cedere a facili fascinazioni, la mia mente ha analizzato l'accaduto in modo razionale ma in entrambi i casi ma non ha trovato spiegazioni plausibili a ciò che mi è accaduto; adotto quindi l'atteggiamento “scettico” nell'accezione originale del termine, cioè prendo in considerazione ogni cosa senza escludere nulla. Se ascolto il cuore, invece, la risposta la conosco bene.

Siamo a Mohammedia, città portuale, ospiti dei genitori di un amico nella grande casa messa a disposizione dall'azienda elettrica italiana per la quale il padre ingegnere lavora. E' infatti quasi finita la costruzione della più grande centrale elettrica del Marocco. Siamo in una specie di enclve di lavoratori italiani con comode case e personale messi a disposizione dei dipendenti. La cuoca marocchina cucina da dio ed è molto simpatica e anche l'autista è sempre allegro e disponibile.


La spiaggia è immensa e senza nessun servizio di raccolta rifiuti ma con bandiere rosse che segnalano pericolo; sì perchè sulla battigia la forza dell'oceano scava la sabbia sotto i piedi e come se volesse trascinarmi via; è pericoloso immergersi per nuotare quindi si passeggia al vento in riva al mare. Il caldo è secco piacevole.

Gita a Mulay Idriss, un paese dove si trova la tomba di Idris I*, quindi luogo sacro per l'Islam (cosa che allora non sapevo) in cima ad una collina circondato da deserto a circa due ore e mezzo da Mohamedia, ancora senza alcuna struttura turistica. Per tutto il viaggio i miei amici fumano canne e l'auto si riempie di fumo di hashish. Comincio a sentirmi strana e non vedo l'ora di arrivare. 



Arriviamo intorno alle 11,30 e in paese il caldo è atroce. Penso a comprare una bevanda di magnesio e potassio in farmacia ma non esiste farmacia. L'ansia sale. Cerco di controllare la mente ma poco dopo la crisi di panico esplode. Troviamo una bottega di gioielli e altri prodotti artigianali gestita da una bella ragazza che parla inglese. Mi stacco dagli amici e chiedo ospitalità dicendo che non mi sento bene. La gentile ragazza mi fa stendere facendomi aria con un ventaglio e mi dà da bere. Mi fa anche usare il suo bagno, la santa donna... Passato il peggio della crisi mi rimetto in piedi e provo ad uscire dalla bottega fresca. Appena fuori, investita dall'ondata di calore, mi appoggio al muro della casa. Mi sento debolissima e temo di svenire dal caldo. I miei amici, allora parecchio immaturi, mi trattano come fossi pazza e mi guardano come allocchi senza muovere un dito. “Ti sei ripresa? Era ora!” questo il massimo dell'empatia che mi dimostrano.


Osservo l'aria tremula, lontano tra le case. Ad un tratto scorgo un vecchio curvo e storpio che avanza a fatica. Mi guarda, viene dritto verso di me, si avvicina e senza parlare mi prende per un polso per portarmi con sé. Lo seguo docilmente come un automa, senza pensieri. I miei amici mi guardano andar via continuando a parlare tra loro. Giriamo l'angolo della casa ed entriamo in un cortile ombroso dove al centro c'è un grande bacile di acqua vicino ad un rubinetto. A gesti mi indica di inginocchiarmi e quindi mi immerge le braccia nell'acqua fredda fino ai gomiti poi comincia a buttarmi acqua sul viso. Io lascio fare mentre dal cuore mi sale un pianto liberatorio di riconoscenza. Rimango lì per un po' a bagnarmi anche la nuca ma quando alzo lo sguardo non lo vedo più. Mi alzo e mi guardo meglio attorno, giro l'angolo, non può essere andato lontano ma di lui non c'è più traccia. Chiedo agli amici quale direzione ha preso ma mi rispondono: “chi?”, “il vecchio storpio!! Da che parte è andato?” - “Ma qui non è passato nessun vecchio storpio... dai se stai meglio possiamo andare a visitare le rovine di Volubilis*”.


* * *


Il gentile autista ogni giorno ci porta a visitare un luogo diverso: Fes, Meknes, Rabat evitando il caos di Casablanca. Le medine, i suk e le moschee delle città mi affascinano. Nella medina di Fes passiamo dove conciano e tingono le pelli di bovini e ovini con la tecnica antica. Spero che i colori siano ancora quelli naturali.


Un giorno si decide di andare ad una festa tradizionale nel deserto. Per giorni ci saranno corse di cavalli al mattino, giostre per i bambini e altro nel pomeriggio. Ingenuamente pensiamo di andare ad una specie sagra di paese come le nostre, invece ci troviamo nel bel mezzo della Tbouridauna festa tradizionale con corse di cavalli.


L'autista ci spiega in francese che è una festa bellissima e ci sono tante tende dove la gente si trasferisce per quei giorni. Arriviamo, parcheggiamo e con l'amica italiana e la figlia dell'autista, cominciamo a gironzolare per l'immensa distesa di grandi tende famigliari bianche, tutte uguali. L'entusiasmo ci prende la mano e notiamo con piacere di essere le uniche due occidentali presenti (quel giorno i ragazzi erano rimasti a casa).

Ci divertiamo parecchio e chiacchieriamo piacevolmente girando senza meta tra le tende, non ricordo di aver avuto particolarmente caldo. Il pomeriggio volge al termine e lentamente comincia ad imbrunire. Le mie due compagne decidono di salire su una collina a vedere il tramonto e fumare una canna. Le seguo attratta dall'idea del tramonto, ma presto mi rendo conto di una certa mia cecità crepuscolare e incespico sulla salita non troppo ripida ma difficoltosa a causa dei grossi sassi.

Comunico alle mie compagne di avventura che mi fermo ad aspettarle “ma sì, tanto torniamo presto e ripassiamo di qua...”. Bene, mi siedo e mi rilasso osservando il panorama e il cielo che cambia colore. Passa un quarto d'ora. Passa mezz'ora. Passano tre quarti d'ora ma le mie compagne non si vedono. Mi alzo pensierosa e comincio a sentirmi vagamente inquieta. Mi risiedo e cerco di rilassarmi. Penso che facendosi una canna bella carica davanti al tramonto, hanno sicuramente perso la nozione del tempo. Dopo altri dieci minuti comincio a meditare di incamminarmi e cominciare la discesa. Ora però è molto buio, niente luna, e il chiarore proveniente dalla grande tendopoli in basso non è affatto sufficiente. Per l'ennesima volta mi giro verso la cima della collina nella speranza di veder comparire le due ragazze. Questa volta però intravvedo un giovane accovacciato pochi passi dietro di me, un po' più in alto. Da dove è arrivato? Non ho avvertito alcun rumore di passi sulla collina scoscesa.

“Ti sei persa?” mi chiede in francese.
“In realtà sto aspettando le mie amiche che sono andate in su, ma non tornano e ora è buio. Pensavo di scendere”
“Aspetta, vengo lì”
“Ok”

Mi raggiunge e mi spiega che scendere così al buio è un po' arduo.
“Dammi la mano, scendiamo insieme, ti accompagno, ma dimmi da che parte è la vostra tenda”
“La tenda degli amici del nostro autista marocchino mi pare sia verso l'entrata ma in realtà non ne sono affatto sicura e non mi oriento affatto in questo mare di tende tutte uguali!”
“Prova a sforzarti, forse verso destra o... di là a sinistra, di ingressi ce ne sono più di uno”
“No, proprio non ricordo”
“Allora scendiamo, ho un'idea, dammi la mano... attenta”

Mi sento stranamente al sicuro, per nulla preoccupata o sospettosa, anzi, calmissima.
Ad un certo punto sento degli schiamazzi e lui mi dice:
“Quei ragazzi sono ubriachi, vieni scendiamo più in là, non mi piacciono”

Quando arriviamo alla base della collina:
“Ora andiamo alla tenda della polizia e facciamo fare un annuncio in arabo, in francese e in italiano dicendo che sei in attesa nella tal tenda”
“Perfetto, grazie, grazie, grazie mille”

Arriviamo alla tenda-ufficio di polizia, entriamo e mi fanno accomodare. Il poliziotto alla scrivania mi squadra mentre parla in arabo col ragazzo e poi comincia a rimproverarmi duramente in francese:
“Ma lei è matta? Che ci fa qui da sola? Lo sa che qui rapiscono le donne bianche che poi non riusciamo più a ritrovare? E' successo parecchie volte! Non si accetta la compagnia di sconosciuti e soprattutto non si va in giro da sola!!!”

Ho provato a spiegare delle amiche sparite e del ragazzo che, se non era per lui, sarei ancora là ad aspettare al buio ma era talmente alterato che ho capito subito che era inutile discutere.

Il ragazzo mi accompagna quindi in una tenda molto ampia dove c'è una signora molto grassa seduta per terra vicino ad una enorme pentola. Mi dice che lui rimane fuori ad aspettare, di entrare e sedermi con lei. La grande donna sorridente come un Buddha cinese stava tagliando una montagna cipolle probabilmente per cucinare il Tagine, la tipica buonissima pietanza agrodolce marocchina, per un reggimento!

Mi parla in arabo e ride di gusto dei miei sforzi per farmi comprendere a gesti; rimango lì circa venti minuti a scherzare con lei finché vedo entrare come una furia la mia amica italiana che urla:
“Tu sei pazza!! Sono due ore che ti cerchiamo! Lo sai che l'anno scorso hanno rapito una donna che conoscevo!! Ma che ti salta in mente, mi vuoi far venire un infarto! Sei pazza!!”

Tento di ribattere dicendo che sono rimasta ferma ad aspettarle per quasi un'ora ma lei continua ad abbaiarmi addosso una serie di improperi e imprecazioni quindi taccio di nuovo. Quando mi dice di seguirla per andare all'auto le chiedo:

“Aspetta, fammi almeno ringraziare il ragazzo che mi ha aiutata, era qui fuori”
“Ma che dici, quale ragazzo? Quando sono arrivata qui, fuori non c'era nessuno, sei tu che sei fuori!! Andiamo che ci aspettano, non perdiamo altro tempo”

“Ma come... era qui, vedevo anche la sua ombra da dentro, devo ringraziarlo, cerchiamolo!”
“Tu sei proprio fuori di testa, non dire cazzate, qui non c'era nessuno, andiaaaaaamooooo!”

La seguo come un cagnolino bastonato voltandomi indietro ogni due passi sperando di vedere tra la folla il mio salvatore. Sparito nel nulla. Non ci siamo neanche presentati... non conosco neanche il suo nome... Non ci siamo presentati... la sensazione era come di conoscerlo da sempre. Mentre scendevamo dalla collina non mi ha sfiorato il minimo dubbio.
Mi ha presa per mano e mi sono sentita calma, in pace e protetta come con un... angelo.


* Fondatore della prima dinastia reale del Marocco (788 - 791 a.C.)
** Volubilis è un'antica città romana fondata dai Cartaginesi, dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nel 1997. Si tratta di uno dei resti meglio conservati dell'Impero Romano in Nord Africa
*** Molto probabilmente era il 20 agosto, quando si celebra la “rivoluzione del re e del popolo”. Questa antica arte equestre risalente al XV secolo e ora patrimonio UNESCO, mette in scena in occasione di specifiche feste nazionali, una spettacolare esibizione di cavalli e cavalieri





sabato 2 agosto 2025

 Lo spirito naturale


Cubi di cemento, asfalto nero sul suolo, cielo attraversato da fili e spazi in cui ciò che è naturale è  delimitato, addomesticato, allontanato.
Sicurezza: la grande illusione che ammalia tutti, i
llusione di essere al riparo da imprevisti, protezione, comodità.
Ciò che un tempo era considerato normale, ora sembra pericoloso e imprudente. 
Partire senza avere sotto controllo il territorio con mappe satellitari, senza prenotazioni, senza vedere in anticipo ciò che andremo a visitare, ora impensabile e ritenuto quasi stupido; appena trent'anni anni fa era la norma o quasi.
Ma lo spirito naturale in noi è ancora lì. 
Si fa sentire raramente, oppure mai, per la maggior parte del tempo è sopito, dorme come una tigre del bio-parco, altro non può fare. 
Rari momenti quelli in cui l'ho avvertito.
Rari momenti in cui la Natura parla allo Spirito e lo sveglia dal suo torpore.

***

2 novembre 1997
Inipi cioè "rinascere ancora". Un rito ancestrale dei nativi Lakota che dura un'intera giornata. Diciotto corpi nudi al buio. Vapore bollente che sale da pietre incandescenti, profumo intenso di erbe. Più vicini alla terra si respira un po' meglio e allora ci si inchina come per ringraziare del refolo di aria più fresca.
Il discendente nativo americano ci conduce in un viaggio tra i mondi minerale, vegetale, animale e umano. E' buio quando usciamo, il senso del tempo è svanito. C'è chi si getta nel torrente. Io mi sdraio sulla terra. Respiro l'aria fredda della sera. Per la prima volta nella mia vita provo un piacere nuovo. Invece di patire il freddo come al solito rimango nuda sdraiata sulla terra fresca di novembre. Non voglio tornare tra le pareti di casa. Voglio il bosco, il profumo della legna nel tepee, dormire per terra e respirarla ancora. Con gli amici mi attardo attorno al fuoco. Al pensiero di rientrare... un nodo stringe la gola. Lo spirito di natura, ancora una volta è domato, si avvia al suo riparo, alla sua... "prigione".

Alcuni di noi rivestiti dopo l'Inipi 


Sardegna costa est 1988
Un mese su questa isola italiana ancora in parte selvatica dove il turismo c'è già ma i locali non lo gradiscono e ci trattano con circospezione. 
Pochi anni ancora e l'assalto della massa col denaro, in estate diventerà sopportabile...
Sei giorni a Cala Luna. E' vietato campeggiare quindi a la belle etoile  sulla spiaggia. I ragazzi dell'unico baretto ci dicono di far sparire le tracce dei sacchi a pelo prima delle otto. Passa la guardia.
In soli due giorni rinasco e sento una gioia di vivere mai provata. Respiro da tutti i pori. 
Chi sono diventata? Una selvatica donna a cui basta un bagno con la turca senza doccia, un paio di jeans, una maglietta e una felpa, un frutto al risveglio, un'insalata a pranzo e una pasta la sera. Fine dei bisogni corporei. Per il cuore c'è l'affetto, il calore di uno sguardo, un falò sulla spiaggia al tramonto e due chiacchiere con altri umani. 


Avatar 2009
Un film 
in 3D di tre ore. Esco da cinema stordita col magone. Avrei voluto rimanere sul pianeta Pandora, il pianeta incontaminato dove gli abitanti dalla pelle blu vivono in totale armonia come animali ma hanno mente senziente. Dopo lo stordimento iniziale una riflessione: cosa ha rimosso in me (come in molti altri) questo film, di così forte? Cosa ha evocato? Gli azzurri, longilinei alieni, i Na'vi, hanno una forte, totale, connessione con la natura e con l'entità divina con Eywa, la loro madre terra. Tutto qui. Questo è bastato per provocare una profondissima nostalgia di non vissuto ed ha per questo, decretato l'enorme successo internazionale. Il 3D ha amplificato l'esperienza e tre ore si sono volatilizzate lasciando una scia di meraviglia. L'animale connesso con la sua madre terra ha avuto un sussulto; il sistema nervoso non distingue se l'esperienza avviene nell'immaginazione o nella realtà, si attiva e reagisce. Il cuore batte forte e i neuroni a specchio fanno scendere lacrime di tristezza o di gioia. Poesia intelligente della settima arte.



Sardegna costa ovest 2024
Un campeggio vicino all'hotel. Amiche ritrovate per "caso".
Il mare qui è pericoloso, per fare il bagno ci spostiamo.
Cena profumata al campeggio. Decido di andare a vedere questo mare pericoloso...
Buio. La luce si accende al mio passaggio e poi si spegne. Non è buio come sembrava, c'è la luna piena nel cielo ancora turchese acceso che lentamente diventa blu violaceo. In fondo, sul mare il cielo è rosso scuro e mi arriva all'orecchio un rumore, un fragore lontano. Sulla distesa di sabbia il biancore profumato dei gigli li rende quasi fosforescenti. Lontanissimo brilla il fuoco di un bivacco. Il fragore mi chiama. La forza di quel mare selvaggio mi raggiunge con i suoi sbuffi salati. In un attimo la notte e il tappeto di stelle mi copre il capo come uno chador orientale.
Rotolare nella sabbia fresca e fare l'amore con l'animale sopravvissuto agli schermi, al cemento e all'asfalto. 


Sempre
La danza tellurica, dalla terra sale e scatena endorfine in un'esplosione dendritica.
Corpo senza peso si muove seguendo il tempo fatto di note.
Come nell'amore scompare la mente insieme alla maschera di ogni giorno. 
La gioia si fa materia danzante... ogni volta.


Shiva Nataraja 

mercoledì 1 gennaio 2025


A mille ce n'è....




(Scritto nel 2022)

Oggi ho capito la causa del mio spleen*. Mi era già successo a metà febbraio ed é durato una settimana (spero meno stavolta). É una sorta di "peso" del passato. Difficile da spiegare a parole. É come se tutti i ricordi belli e brutti della mia vita di 61 anni mi pesassero sul cuore. Quelli belli creano nostalgia, quelli brutti gratitudine per lo scampato pericolo oppure per averli superati bene e imparato qualcosa. Ma sono tanti. Moltissimi quelli della mia infanzia e sono quelli i più "pesanti" perché densi di sentimenti contrastanti.

Per far passare lo spleen mi rifugio in uno dei ricordi più belli e indelebili della mia infanzia: le ore incantate che passavo ascoltando le "Fiabe Sonore" dei Fratelli Fabbri Editori.

Durante gli anni della scuola elementare che iniziai il 1° ottobre del 1967, frequenti tonsilliti mi tenevano spesso a casa e mamma Gemma allora pensò di consolarmi con i meravigliosi libri di fiabe illustrate che uscivano ogni settimana in edicola con allegato un disco 45 giri. 
La pubblicazione delle "Fiabe Sonore" era iniziata l'anno prima col disco di lancio de "I tre porcellini" che andò a ruba.

Quelle favole erano davvero speciali e molto più tardi, quando ebbi anche io una piccola casa editrice, capii in cosa consisteva la loro magia: i libri erano sottili quindi leggeri, le pagine di carta patinata erano grandi proprio per perdersi dentro, le immagini molto raffinate, il testo impaginato in modo originale ma facilmente leggibile. 
Il testo di ogni favola era letto da attori professionisti, uno fra tutti Silverio Pisu nipote del noto Raffaele; alla narrazione venivano aggiunti i rumori di scena proprio come i romanzi letti alla radio. Per ogni fiaba c'erano quattro o cinque canzoni musicate divinamente e cantate da un solista e da un coro. Ne uscirono molte, io ne conservo gelosamente sessanta. Sono sopravvissute a tutti i traslochi ma ora sono in cantina perché troppo grandi per la libreria nella mia "casa dei Puffi".  Recentemente, con mia grande gioia, le ho ritrovate tutte su di un canale Youtube di un privato portoghese... c'è tutto: sonoro e immagini delle pagine sfogliate.

Mia mamma Gemma (1928 - 2008) lavorava nel negozio di filatelia in via Nizza 1 che era stato già di mio nonno prima della guerra, poi gestito da mia nonna per qualche anno, e infine da lei per vent'anni. Ogni giorno per andare e tornare dal negozio prendeva, quattro volte al giorno, il tram numero 9 che passava in corso De Gasperi (che a quel tempo si chiamava corso Orbassano) alla fermata del benzinaio dove c'erano quattro panchine e quattro grossi alberi. Apriva il negozio alle nove e chiudeva a mezzogiorno e mezza, pranzava con noi con il cibo era preparato da nonna Pina, lavava i piatti e il pavimento, si riposava un po' sul divano e riapriva alle quindici e trenta fino alle diciannove. In estate andavo ad aspettarla alla fermata con la nonna. Quando il tram si fermava, io riuscivo a riconoscere le scarpe di mia mamma guardando sotto, i piedi delle persone che scendevano, e anche se a volte non le vedevo, non so come, sapevo sempre se la mamma era scesa oppure no...

Sono ricordi semplicissimi e molto speciali, come la gioia che provavo quando arrivava la fiaba nuova! Se non ero a letto malata non le ascoltavo mai, preferivo giocare dopo aver fatto i compiti, a volte con la mia amichetta Amalia, più spesso da sola con i miei amati animaletti di plastica, il mio gioco preferito. Quando ero a letto con la febbre e la gola che bruciava, chiedevo a mia nonna di portarmi una fiaba a sorpresa. Quando la sigla partiva con il famoso attacco "A mille ce n'è, nel mio cuore di fiabe da narrar..." entravo in un altra dimensione, in un mondo lontanissimo dal tempo in cui vivevo, dalla mia casa, dal mio letto e soprattutto non sentivo più il mal di gola.




* Lo spleen è uno stato d'animo caratterizzato da una profonda malinconia, insoddisfazione e noia. Il termine è stato reso popolare soprattutto dal poeta francese Charles Baudelaire, che lo descrive in diverse poesie.

domenica 8 dicembre 2024

Adele



La tua mano sulla mia, leggera come un soffio, mi disse un giorno:

vedi, le nostre radici sono avvinghiate in un tempo lontano,

in fondo all'anima della Terra”.

Sta sotto il nostro cielo comune questa terra senza nome.

E’ la terra del gesto antico che porta rispetto, dell’amore incorruttibile, del muto comprendere, dell’antico sentire che condividiamo senza aver calpestato gli stessi sentieri.

Come alberello trapiantato dalla sua terra al vaso,

hai radici assetate, foglie sempre rivolte al sole del tuo piccolo mondo lontano.

Persistente e dolce è il profumo dei tuoi fiori sorridenti.


(aprile 2014)

venerdì 30 agosto 2024

La rosa antica


La rosa antica


Dedicato a Claudio Rugafiori 


Una rosa antica.

Hai petali rosso cupo la cui fragranza a tratti stordisce.

Un tronco sottile, contorto, paziente alle intemperie.

Mi piace respirare quel profumo penetrante, quell'ossigeno che nutre la mente.

Miliardi di righe da migliaia di libri vorticano intorno a noi come in una danza.

Per tua magica mano, da loro zampilla fresca acqua di conoscenza.

La mia mente assetata vorrebbe berla tutta ma il vaso è minuscolo.

La Storia: un mucchio di rovine arroventate al sole ma il Tempo si inchina davanti al tuo cancello, si smarrisce e sfinito cade addormentato nel tuo giardino fatato.

E si ferma.





domenica 12 maggio 2024

Due Natali indimenticabili



Mi trasferii al Villaggio Verde nel luglio del 1991 dopo il faticosissimo trasloco della casa editrice L'Età dell'Acquario, a seguito della morte di mio padre, l'editore Edoardo Bresci avvenuta l'anno prima.

I giorni delle vacanze natalizie del 1993-'94 (magari sbaglio anno, ma di poco) sono tra i più bei ricordi dei miei otto anni vissuti al Villaggio se escludo i miei primi anni di vita in cui il solo pensiero che Gesù Bambino, insieme a Babbo Natale, mi facesse l'impagabile onore di entrare a casa per portare qualche regalo, mi procurava un'eccitazione sublime dal primo giorno di dicembre.

Il Natale, negli anni '90, non era mai un bel periodo per me. Il mio compagno di allora, Marco Orsi, partiva sempre per viaggi di circa quindici giorni a scopo benefico e turistico, quasi sempre in Birmania, invitato dal professor Bernardino del Boca che accompagnava con un gruppo di seguaci. La tristezza e il senso di abbandono si impadronivano del mio cuore ammorbandomi la mente con pensieri che ben poco avevano a che fare con la letizia che questa ricorrenza mi aveva sempre evocato.

Nel grande spazio comune che chiamavamo “salone”, un anno decidemmo di condividere il pranzo di Natale. Ognuno avrebbe preparato qualcosa a casa sua e per l'occasione fu allestita una grande tavolata per circa venti persone.

Era bello assaggiare i piatti di diverse tradizioni famigliari condite da tante risate. Passammo poi il pomeriggio a cantare con l'accompagnamento della chitarra di Dave, un ragazzo americano bello e simpatico arrivato da poco al Villaggio col suo immenso zaino; al suo arrivo alla stazione di Romagnano Sesia mi aveva detto: “mi sono messo in viaggio dagli Stati Uniti per trovare le mie radici italiane e magari... trovare una donna”

Ci rendemmo presto conto che gli “avanzi” bastavano per un reggimento... Quindi a Santo Stefano i cosiddetti avanzi furono riproposti e qualcuno portò a casa ancora cibo per la sera. Ricordo le chiacchiere, le belle riflessioni e a volte il silenzio davanti al caminetto che io adoravo anche se “tirava male”.

Il 27 la voglia di stare insieme non era ancora passata, cominciavamo a prendere gusto alla compagnia rilassata, liberi da qualsiasi impegno. I piatti di quel giorno erano meno elaborati, alcuni preparati nella cucina del salone, altri a casa, l'importante era stare insieme lasciando da parte i problemi che spesso ci assillavano.

Ripetemmo la stessa cosa l'anno successivo e di nuovo il senso di “famiglia allargata” e di calore mi scaldò l'anima.

Anche il Capodanno fu per alcuni anni una piacevole occasione di festa a cui partecipavano anche amici dei dintorni; c'era sempre tanta musica e balli ma i miei ricordi sono decisamente più sfocati e il ricordo meno caro al mio cuore.

Luna Rossa




Uno dei ricordi più belli del periodo vissuto al Villaggio Verde risale al 1997 cioè poco prima di trasferirmi a Romagnano Sesia, dove vissi poi per due anni, prima di tornare definitivamente a Torino.

La mia vita aveva subito gravi scossoni sia nell'ambito del lavoro, della vita di coppia che della salute. Sentivo di non essere più in sintonia con il luogo, come se quell'esperienza si stesse esaurendo e non mi nutrisse più.

Da gennaio ero tornata single e una sorta di stabile apatia ammorbava il mio spirito.

Ma ecco che fortunatamente fu organizzato un corso di recitazione di molti mesi col prezioso regista Paolo Raimondi che culminò con un vero e proprio spettacolo teatrale in cui ognuno di noi, con le proprie specifiche capacità e il proprio particolare talento, apportava il suo contributo. Alla rappresentazione partecipammo circa in venti e altrettanti, con piccoli e grandi apporti, contribuirono alla sua realizzazione pratica.

Fu un percorso impegnativo ed entusiasmante, una delle più belle esperienze della mia vita che mi aiutò a mettere in moto energie positive che contrastarono la cappa di tristezza che imbrigliava la mia mente.

A me e alla mia amica Cinzia venne in mente di proporre a Paolo di mettere in scena il racconto introduttivo al libro Luna Rossa* dell'autrice inglese Miranda Grey che trattava del potere spirituale femminile. E' un favola iniziatica in cui un'archetipica ragazza dal nome evocativo di Eva, vive un sogno molto particolare durante la notte del suo primo ciclo mestruale.

Paolo si dimostrò entusiasta, scrisse la sceneggiatura e assegnò le parti in base al carattere e alle predisposizioni di ciascuno di noi e si occupó anche delle luci. Marco Mazzilli, che studiava per diventare decoratore artistico pensò alla scenografia, Flavio Menolotto alle musiche (quasi tutte del gruppo di fusion etnica Dead Can Dance**) e al lavoro di mixer audio. Una piccola parte del “campo celtico”, (così chiamavamo i campi dietro le case che allora non erano coltivati, al limitare del bosco, dove in passato furono trovati reperti celtici) fu adibita a palcoscenico da Paolo Zoni e Renzo Della Toffola, creando un pavimento con blocchetti di cemento e assi di legno removibili. Ognuno infine dovette pensare al proprio abito di scena.

L'arte per me naturale è la danza, quindi dissi a Paolo che avrei voluto occuparmi delle coreografie, così interpretai tutte e tre le scene danzate più una breve parte recitata. Per la danza dei demoni e quella della vestizione coinvolsi la mia amica Monica Gallarate, danzatrice e insegnante di danza classica indiana e Ambra Pittoni, una giovane artista che a quel tempo praticava danza mediorientale (ora artista e coreografa).

Progettammo di fare lo spettacolo la sera di luna piena di giugno.

Il pensiero che potesse piovere non ci sfiorò nemmeno per un attimo, il clima era stabile e l'unico problema fu l'incursione delle zanzare mentre ci preparavamo dietro le quinte un'ora prima dello spettacolo; così eccitati e felici non ci facemmo quasi caso.

Alle 21.30 tutto era pronto, la maggior parte del pubblico era seduta e altro publico era in piedi. Dopo la presentazione di Paolo partì un brano molto evocativo e le luci rosse illuminarono la grande sfera sospesa al di sopra della scena. A metà della rappresentazione ci fu la scena della regina dei Celti, Boudicca interpretata da Muriel, che contemplava la presenza in scena di uno dei nostri cavalli che “recitò” docilmente la sua parte.

Dopo esserci struccati e cambiati, non riuscimmo a salutare bene il pubblico perché la maggior parte se ne andò subito dopo il lungo e sincero applauso. Personalmente avrei voluto sentire qualche impressione, qualche commento o critica.

Comunque eravamo al settimo cielo, felici che tutto fosse andato nel migliore dei modi... Credo che Melpomene, l'antica musa della tragedia greca da noi evocata, quella sera abbia steso un incantesimo sul campo celtico. L'atmosfera creata era surreale.

A casa, nel mio letto, l'adrenalina si decise a scendere e io percorsi mentalmente tutte le fasi dello spettacolo rivivendole al rallentatore, in particolare quella per me più impegnativa dove interpretavo il Serpente che simboleggiava la forza dell'eros.



La capriola all'indietro che temevo non riuscisse come volevo, mi venne alla perfezione e sparii come previsto tra le gambe di Isabella, la mia omonima che interpretava Eva, la protagonista.

Avevamo fatto tutto noi, avevamo creato insieme qualcosa di Bello con le nostre capacità, ognuno come riusciva e poteva, e ci godemmo orgogliosamente il successo del progetto a dimostrazione che quando si lavora insieme con gioia per il Vero, il Bello e il Buono, lo Spirito ci assiste sempre e la Natura collabora.
Il ricordo di quella sera è vivido nella mia memoria come fosse accaduto pochi mesi fa anche se sono passati 27 anni; fu una serata indimenticabile per tutti quelli che vi presero parte.

Al teatro di Romagnano Sesia replicammo in ottobre e riempimmo la sala.
Fu invitata la dolce autrice di passaggio in Italia per un giro di presentazioni.

Dopo lo spettacolo Miranda era visibilmente commossa e disse che mai avrebbe immaginato che il suo racconto potesse dare origine ad uno spettacolo...

Di quella replica ricordo poco ma per mia fortuna qualcuno lo registrò su VHS e anni dopo lo riversai su DVD e poi su file ma... la luna piena, gli odori della sera, la brezza tiepida, il frinire dei grilli, la luce delle torce della “prima” contribuirono a creare una magia irripetibile che è conservata indelebilmente solo nei nostri cuori.



* Luna Rossa, Miranda Grey, Edizioni L'Età dell'Acquario 1996, riedizione Macro Edizioni
** Dead Can Dance https://www.ondarock.it/dark/deadcandance.htm