“La rosa si apre, questa è la sua ragione d’essere.” Eugen Roth
Fuori,
fuori, esci fuori... forza centrifuga... approfittane... esci...
Colore...bello
e caldo... tutto gira... mischiato... vortice... nel cuore, ora nel
piede, le braccia... su, oltre le nuvole... nell’aria...pavimento...
brivido fresco pervade tutto... i capelli… i miei capelli... si
rizzano...
cuore,
cuore, luce d’amore, senza pensiero, solo mistero...
Danzava
così, sul pavimento caldo di legno, da ore. Il tempo era lento e lei
ci stava riprovando. Prima o poi ci sarebbe riuscita. Un pensiero
folle... uscire fuori...
Non
osava confessarlo a se stessa ma intimamente nutriva la folle
speranza di sentire schizzare via la sua anima nel bel mezzo di una
piroette.
Il
pomeriggio era ormai inoltrato e la domenica cominciava ad annunciare
la sua fine. Era stata bene con se stessa. Non era sempre così. Si
sentiva a suo agio nel corpo fisico, possedeva ogni atomo, ma non le
bastava, era un mezzo con troppi limiti strutturali.
Certo
si piaceva, la natura era stata gentile, le aveva dato un corpo esile
ma resistente, ben modellato e agile ma a volte, nonostante la sua
leggerezza, le sembrava un limite.
Il
corpo le portò alla memoria la sensazione che per un attimo, poco
prima, aveva assaporato a mezz’aria, tesa nel salto. Il grand
jetè
era il principe dei salti. Necessitava di una rincorsa e di una
decisa spinta verso l’alto ma quando le gambe raggiungevano la
massima apertura in spaccata, ecco che tutta la tensione raggiungeva
l’apice e prima di ridiscendere, proprio lì, il miracolo... quel
momento infinito di gioia suprema in cui Milla sperimentava la
libertà dalla gravità di questo mondo. Sembrava che il cuore le
dovesse esplodere di gioia e quell’attimo era per lei la prova
dell’esistenza di Dio. Chiusi come siamo nei nostri involucri di
materia pensante, ci risulta troppo spesso difficile immaginare di
poter avere accesso al divino; ma lei aveva scoperto che ci sono
passaggi segreti che a volte vengono rivelati ‘per caso’ e che
conducono ad altre dimensioni dell’Essere. Era successo proprio
così, ‘per caso’, durante una lezione. Il primo grand
jetè
che le era riuscito alla perfezione l’aveva portata là, e quando
era ridiscesa a terra non era più la stessa.
Sudata
e contenta uscì dalla sala e poi in strada. Era ancora primavera.
Una primavera lunga quella di Milla; si attardava ancora, infatti,
sulla soglia dell’estate del suo essere donna.
Solo
ora, forse cominciava finalmente a sentire quella voce che dal fondo
della sua interiorità le parlava con ancestrali parole. Voce di
donna.
Una
rosa bianca. Per troppo tempo aveva gelosamente conservato il suo
profumo, era tempo di donarlo al mondo. Non lo aveva tenuto per sé
per avarizia ma per paura. E se non era profumo? A lei piaceva perché
era il suo, ma sarebbe piaciuto a qualcun altro? E così aumentavano
le spine.
C’è
chi dice che una rosa bianca manca di passione, troppo casta per
inebriare; troppo distante e opportunista come colore, il bianco;
respinge la luce, la riflette e non l’accoglie in sé. Ma ora aveva
imparato ad amare la particolarità di quella specie.
Lui
non si era fermato alle spine che spesso la circondavano di un’aria
austera e, con attenzione, l’aveva colta, riposta al caldo, e lei
si era aperta, quasi senza accorgersene. Le aveva raccontato
dell’aroma discreto e squisito che era riuscito a percepire quando
era ancora chiusa.
Lui
l’aveva sentito quel profumo, e le aveva fatto notare la bellezza
della sua sobria eleganza.
(Tratto dalla mia novella "Milla e Andrei - Breve racconto di amore e di alchimia")