Elemosina
Sempre allo stesso incrocio, sotto lo stesso palo, sempre lo
stesso cappotto in estate e in inverno, sempre le stesse scarpe e la barba
lunga.
Un viso giovane che potrebbe essere mediorientale, ma anche
italiano o afgano; i tratti sono delicati e molto gradevoli nonostante la condizione
in cui si trova.
Si dondola l’essere umano che chiamiamo ‘barbone’, come a
volte fanno i bambini, facendo meccanicamente con la mano il gesto di
imboccarsi.
Le macchine sfrecciano, la gente a piedi non lo guarda e
tira dritto di corsa, poi il semaforo diventa rosso e lui comincia la questua
ai finestrini, senza parlare, solo facendo il gesto di imboccarsi. Ogni tanto
mi volto indietro e osservo, vedo che praticamente nessuno fa l’elemosina e
poco prima che scatti il verde lui corre al suo posto.
Quasi ogni giorno gli porgo una moneta e lui ringrazia con
un grande sorriso che però assomiglia ad un pianto, la guarda e a volte corre
subito al distributore di panini sull’altro angolo del rondò.
Da un po’ di giorni non è al solito angolo… mi accorgo di preoccuparmi... chissà dov’è,
dove dorme, sarà riuscito a mangiare oggi, soffrirà il caldo tremendo che fa
adesso in città?
Vorrei sapere come si chiama, qual è la sua storia, come è
finito così ma fin’ora mi è mancato il tempo, il coraggio, la forza di fermarmi
a parlare. Cosa potrei fare di concreto per lui al di là del pronunciare
qualche parola gentile, cercare di farmi capire indicando la Caritas o la sede del Sermig?
Mi vergogno. Mi vergogno di me stessa e per questa nostra ‘civiltà’
dove ormai il denaro è il metro di misura per valutare le persone.
Secondo questo metro questo essere umano non esiste…