martedì 5 marzo 2013


L'ambiguità della tolleranza








La parola ‘tolleranza’ etimologicamente deriva dal latino ‘tolerare’ dalla una radice indo-germanica ‘tal’ e suoi derivati, e significa alzare, sollevare, pesare, sopportare.

Tollero significa quindi, in senso allargato: prendo sopra di me, mi arrogo, oso, sopporto, sostengo.

Questa parola ha assunto nel nostro tempo una connotazione molto positiva che si allontana dall’originale. A guardar bene la sua etimologia suggerisce il concetto di uno ‘sforzo di sopportazione’, di ‘accondiscendenza’. Sotto l’uso di questa parola infatti è sotteso il nostro ‘ben pensare’. Ci si sente a posto con la coscienza quando si pensa a noi stessi come a persone ‘tolleranti’, è un sintomo di civiltà, di ragionevolezza, di non-violenza, il contrario della xenofobia, del razzismo, ecc… suggerendo l’idea dell’accettazione.

Nel corso della storia europea, dal Cinquecento in poi, lentamente il significato si è avvicinato a quello del verbo "comprendere", quindi accettare le differenze, apprezzarle e qualche volta perfino amarle.

Ma la linea che separa la ‘tolleranza’ dalla mera ‘sopportazione’ del diverso è sottilissima.

In genere ‘tolleriamo’ situazioni e persone in vista di qualche risvolto positivo per noi.

Facciamo questo sforzo in vista di un qualche guadagno. Si tollerano atteggiamenti antipatici perché la ragione ci suggerisce che quelle persone è bene non contrastarle per ottenere qualcosa, per mantenere un lavoro o un impegno, perché non si può evitare o per quieto vivere.

Tolleranza semmai può quindi essere sinonimo di pazienza ma non di comprensione, accettazione e amore, come l’accezione attuale sembrerebbe suggerire.

Non è quasi mai possibile accettare e poi amare ciò che non si conosce, ma per conoscere bisogna avvicinarsi, anche solo per curiosità, e per avvicinarsi non bisogna avere paura ma desiderio, e per non avere paura, bisogna aver avuto la fortuna di aver assorbito una ‘cultura’ in tal senso, una cultura di abitudine a guardare più ampi orizzonti e abitudine al ‘rispetto’.

Sì, perché il rispetto è essenzialmente una questione culturale.

Se non si posseggono gli strumenti culturali per avvicinarsi con curiosità al ‘diverso’ da noi, come si può sperare di poterlo comprendere?

Possiamo dire che la tolleranza è il minimo requisito per il mantenimento della pace civile, questo certamente è vero, ed a questo bisogna tendere come società di esseri umani degni di tale nome.

Quasi sempre protendiamo ad avere una visione manichea del mondo, anche senza rendercene conto, una netta divisione tra buoni e cattivi e nelle discussioni spesso si parteggia a spada tratta per difendere una posizione per partito preso senza neanche conoscere in profondità i dettagli della situazione.

Penso che la verità invece sia per certi versi paradossale e che ci sia un po’ di nero nel bianco e un po’ di bianco nel nero. La filosofia taoista questo lo insegna egregiamente semplicemente con il solo suo simbolo.

La nostra ‘visione’ delle cose della vita è molto limitata e la nostra mente funziona solo se ci sono parametri spazio temporali, ma la Vita è ben altro.

E’ chiaro che non si può ‘tollerare’ la violenza, ma usare la violenza per reprimere la stessa violenza crea un circolo vizioso che è il germe delle guerre pubbliche e private.

Ci si deve difendere dalla violenza e non cedere ad essa soprattutto dentro di noi, come metodo per farsi giustizia. La violenza è sempre sintomo di debolezza, non di forza. Si arriva alla violenza quando si è incapaci di trovare altri modi di comunicare.

Per assurdo nei Paesi che durante il XIX e XX secolo hanno colonizzato intere regioni del mondo, usando metodi violenti per sopraffare le popolazioni, col tempo, paradossalmente, sono diventati più tolleranti perché sono stati a loro volta ‘invasi’ dalle popolazioni che avevano colonizzato e ora le loro culture si sono col tempo integrate, per esempio l’ Inghilterra, la Francia, l’Olanda, ecc…

Negli Stati Uniti, dopo tre secoli di lotte, un afro-americano è diventato presidente.

L’umanità da secoli si è spostata, con grandi flussi migratori in cerca di condizioni migliori, a volte pacificamente, a volte con molta violenza. Quello a cui assistiamo oggi, se solleviamo lo sguardo al di là del nostro piccolo spazio e al di là del nostro breve spazio temporale, scorgiamo il continuo, ineluttabile contatto con altre civiltà. Sta a noi viverlo in modo positivo, come arricchimento e non come perdità di identità e confusione.

La paura purtroppo è sempre una cattiva consigliera e se trascende la sua funzione di campanello d’allarme per un pericolo imminente, diventa paranoia, diffidenza e causa di astio immotivato che ci fa regredire a stadi primitivi di coscienza.

Ogni mattina e ogni sera, sul bus che prendo per andare e tornare dal lavoro, intraprendo quel breve viaggio con dei compagni sempre diversi. Attraversiamo insieme una zona della città tipica per la sua multiculturalità e quello che vedo sono esseri umani come me.

Al mattino viaggio con le donne di vari colori che vanno al mercato o che accompagnano all’asilo o a scuola i loro bambini. A volte i passeggini vengono issati da altri passeggeri e i sorrisi sciolgono anche la seriosità delle donne musulmane col viso incorniciato dal foulard.

Al ritorno i miei compagni sono quasi tutti uomini con gli indumenti sporchi di calce; sento l’odore della loro fatica ma non provo fastidio perché è l’odore dell’onestà che mi rassicura.

Raramente sale qualche tipo sospetto, in genere sono pesci piccoli del traffico di droga, e in genere si appartano in fondo, parlano piano e si guardano nervosamente intorno con i loro grandi occhi. Più che paura, mi fanno pena e, osservandoli discretamente, mi domando quale disperazione o quale indolenza li abbia portati su quella triste strada e se mai ne usciranno.

In cinque anni ho assistito solo due volte a episodi di ‘intolleranza’ e, ironicamente succedeva, nel primo caso, tra due immigrati, entrambi qui per cercare di avere un futuro migliore quindi ‘sulla stessa barca’, nel secondo caso tra due anziani che hanno finito per suscitare la bonaria ilarità degli altri passeggeri.

Ma un’immagine è rimasta più di ogni altra impressa nella mia mente, tanto bella da sembrare irreale: quattro ragazzine, una cinese, una musulmana, una italiana e una di colore, di circa tredici anni attraversavano di corsa la strada tenendosi per mano. Le loro risate allegre e cristalline si spargevano nell’aria di quel mattino e non c’era nulla di strano, forse… ma era la prima volta che vedevo con i miei occhi la materializzazione, per quanto momentanea, di un sogno di Pace.





Tolleranza – sopportazione, comprensione, rispetto, empatia, simpatia, gentilezza, curiosità, elesticità mentale, desiderio di conoscenza, amore per la cultura, altruismo, interesse per il bene comune, amore per l’umanità, amore per la Natura e per Dio.


Intolleranza - paura, sospetto, riflesso condizionato di fuga e/o aggressione, irritazione, non rispetto, astio, chiusura mentale, fondamentalismo, disinteresse e indifferenza per le altrui sofferenze, egoismo, razzismo, odio.
Porta Palazzo, il mercato multietico di Torino: https://www.youtube.com/watch?v=L8_Z4rMcQQ8
 


Nessun commento:

Posta un commento