lunedì 23 luglio 2018


Carmina, Libro II, ode 16 - Orazio, 65 a.C.– 8 a.C.





Quiete agli dei domanda chi è colto nell'aperto Egeo, quando una nube nera copre la luna e più non brillano le stelle, guida sicura per i marinai; quiete domanda la Tracia, furia di guerra, domandano, Grosfo, i Medi dalla bella faretra: ma non si può comprarla con l'oro e con le gemme, con la porpora e l'oro. 

Non c'è tesoro d'Oriente, non c'è littore consolare, che possa cacciar via gl'infelici tumulti della mente e le angosce che aleggiano sotto gli alti soffitti dei palazzi. 

Vive bene con poco chi vede sulla povera mensa brillare la saliera che fu già del padre, senza timori e sordide ambizioni che gli tolgano il sonno leggero. Perché a tanti bersagli, nel breve tempo della vita, miriamo ardentemente? Perché cerchiamo terre diverse, sotto un altro sole? Chi, fuggendo in esilio dalla patria, è riuscito a sfuggire anche se stesso? Sale sulle navi rostrate il male dell'angoscia, e corre insieme agli squadroni dei cavalieri, più veloce dei cervi, più veloce dell'Euro che addensa le nubi. 

Lieto del presente, l'animo rifugga di pensare q a quello che verrà, e temperi le cose amare con un calmo sorriso: non c'è nessuna cosa che sia in tutto infelice. 

Una morte precoce portò via il grande Achille, una lunga vecchiaia consumò Titone, e forse offrirà a me, l'ora che viene, ciò che a te ha negato. 

Cento greggi tu hai e le mandre muggenti di Sicilia; davanti a te levano il nitrito cavalle degne della quadriga; sono di lana due volte tinta nella porpora africana le tue vesti; a me, diede un piccolo podere la Parca che non mente, diede l'ispirazione misurata di una greca Camena, e il dono di guardare con distacco la malevola folla.

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