domenica 7 maggio 2017

Ricordo indiano -  agosto 1987

2° PARTE  - Jaipur


L'India è ormai per me un luogo della mia mente


Il rumore di uno scroscio d'acqua mi sveglia. Guardo giù in strada e vedo un fiume d'acqua color ocra. La gente si riversa in strada a ballare e cantare, ora si respira ed è una gioia! 
Dai muri della stanza escono blatte arancioni che non aspettavano altro per uscire dai loro ripari. 
Sì, perchè qui il caldo di agosto è una pena per tutti gli esseri viventi...

Stazione dei bus di Nuova Delhi, pare un caos indicibile, invece la sua logica è ferrea. 
La coda lunga e ordinata per i biglietti e poi lo spettacolo del piazzale... 
Gli autisti urlano il luogo di destinazione finale della corsa, non c'è un ordine di posizione, un'indicazione, nulla, solo nomi urlati di città.
 Jàipur-Jàipur-Jàipur-Jàipur!!! Ma manca un'ora. Attesa. Quarantacinque gradi all'ombra. 
Borraccia piena che si svuota. Il foulard bagnato di cotone giallo mi salva la testa. 
La coda del mio occhio vede che con flemma l'autista sale e mette in moto. 
Uno scatto... zaini in spalla e il vecchio bus Tata a tre marce si avvia verso lo stato desertico del Rajastan. 


Usciti da Delhi la strada è asfaltata ma non larghissima (o
ra c'è una normale autostradala Highway 8) e dopo circa sei ore per fare 200 chilometri, arriviamo nella capitale Jaipur, detta "la città rosa" fondata nel XVIII secolo dal Maraja Sawai Jai Singh II. Le orecchie fischiano ancora per la musica a tutto volume che "allieta" i passeggeri a bordo oltre al clacson usato al posto delle frecce... Mi sto abituando al caldo e le bollicine d'acqua sotto-pelle sono sparite. 
La città è stupenda e costantemente in festa. Col loro incedere lento e sicuro, passano elefanti con disegni variopinti sul corpo e il traffico non è terribile come a Delhi ma il caos è comunque sovrano. Dormo avvolta nel lenzuolo, come fanno gli indiani per assorbire il sudore sotto il lento ventilatore salvavita.

Io e Massimo litighiamo e la gente si ferma a guardare, in cerchio, come ad uno spettacolo di artisti di strada. Vergogna. Un abisso sembra dividere me e Massimo, noi e la gente che ci osserva. 
Mi rendo conto di quanto a volte siamo ridicoli noi occidentali.


Il caldo è opprimente ma la doccia non sempre si può fare perché in certe ore staccano l'acqua. 
Massimo mi tratta così male, umiliandomi e abbaiando cose cattive, che sto seriamente prendendo in considerazione la possibilità di tornare in Italia... ma poi il pensiero dell'immane fastidio del cambio del biglietto e la rinuncia, per colpa sua, ad un viaggio così bello, mi fa desistere. Decido di ignorarlo e di godermi ciò che l'India mi offre.
La sera mi addormento piangendo e invoco qualcuno, il mio angelo per esempio, un angelo bianco alto dieci metri; una tristezza infinita si è posata sul cuore.  
Penso: sono così fortunata ad essere qui, tutto mi sorride, tutti sono gentili con me e lui riesce ad ammorbarmi le giornate... che assurdità.


La mattina dopo decidiamo di dividerci e di andare ad esplorare la città per conto nostro.
All'inizio un po' di ansia, poi decido di prendermela con calma e di andare a bere qualcosa di fresco. Mentre sorseggio un lassi alla banana (il l
assi è una popolare bevanda originaria del subcontinente indiano a base di yogurt, acqua, spezie e qualche volta frutta), attaccano bottone due ragazzi musulmani vestiti all'occidentale. Ci sediamo e cominciamo a chiacchierare; appena scoprono che sono italiana mi fanno un sacco di domande, mi chiedono subito se sono sposata. Scontato. Rispondo di no ma che sono qui col mio ragazzo che è in giro per conto suo. Ovviamente per loro è inconcepibile e dicono: Crazy man!!  Chiedo cosa c'è da vedere di bello lì vicino così si offrono di portarmi in moto.
In modo incosciente, col senno di poi, mi fido perché li sento e li vedo puliti, e infatti con la loro Vespa raggiungiamo uno strano luogo con delle rovine ma ora il ricordo è molto sbiadito (forse le rovine dell'antica città di Amber o l'osservatorio astronomico Jantar Mantar prima del moderno restauro). Il silenzio del luogo disabitato non mi intimorisce affatto, anzi. Continuiamo a chiacchierare e ridere allegramente come bambini e dopo un'oretta mi riportano al bar dove ci siamo incontrati, un'altra bevanda fresca e ci diciamo addio...

Il giorno dopo girovagando insieme ci imbattiamo in un'enorme tendone bianco dove si sta svolgendo una conferenza per molte persone sedute a terra su dei cuscini. Ci informano che si tratta di un evento organizzato dai Jainisti* e che se vogliamo possiamo sederci ad ascoltare, dopo verrà offerto il pranzo vegetariano a tutti. Accettiamo. Non comprendiamo gran che del discorso. Il cibo è ottimo e si mangia con e mani. Davanti a me un anziano mi osserva e dopo un po' ci sorride e ci ricorda in un buon inglese che non bisognerebbe portare il cibo alla bocca con la mano sinistra. Ci scusiamo e ci sforziamo di imparare la non facile pratica...   









* Jainismo (o giainismo) Religione indiana, diffusa in tutta l’India (circa 2 milioni di seguaci). Si basa sugli insegnamenti di Mahāvīra (il «grande eroe», soprannome di Vardhamāna; 599-527 a.C), ultimo di una serie di 24 altri maestri (Tīrthakara). La via principale alla salvezza è nell’ascetismo, praticato fervidamente dai monaci jaina che per es. considerano come un merito particolare la morte raggiunta per fame. Essi non hanno alcuna proprietà privata, se non un recipiente per le elemosine, un fazzoletto, un abito e una scopa per rimuovere dal proprio cammino i piccoli esseri viventi affinché non subiscano offesa. Il non uccidere (ahiṃsā) è, infatti, la loro regola principale, cui si aggiungono il tenersi lontani dall’errore e dalla menzogna e la castità assoluta. Queste norme severe non valgono per i laici che, anzi, devono avere proprietà per poter aiutare i monaci e per costruire templi e conventi. 



CONTINUA CON LA 3° PARTE:
Gemma



Mi hai lasciato in eredità una manciata di sguardi, qualche parola e un po' di ironia.
Il tuo amore muto mi accarezza ancora, leggero come un soffio di brezza.
Come piccolo fiore di campo sei cresciuta e vissuta, all'ombra di alberi ombrosi.
Timida e cocciuta ti sei lasciata portare a spasso dalla vita e dalla vita ti sei congedata senza paura.
La tua cesta colma di talenti appena sfiorati è rimasta nascosta nel segreto del cuore.
Vestita da sposa mi sei apparsa in sogno un mattino d'inverno, felice, raggiante, con sorriso di bimba.
Finalmente felice!



lunedì 1 maggio 2017


Tre parole




Quando odo la tua argentina risata, quando scorgo la vaga dolcezza dei tuoi occhi, mi sento completamente avvolto da te come manto riscaldato dal tuo calore.

La tua innocenza, simile a petalo di fiore, la tua eterna adolescenziale freschezza, il fascino senza fine e la totalità di queste cose, volgono alla mia mente strepitosi voli della fantasia.

Così aggiungo parola a parola, confronto aggettivi con esotiche frasi ma tutto appare usato e banale, indegno per dirti quello che vorrei; allora prendo rifugio in quelle semplici parole confidando nel mio tono quando la mia mano sfiora la tua, allora le sussurro per conferire profondità, per conferire nuove significanti sfumature.

Semplicemente 3 parole: Io ti amo.


(Gianni)